Autotrascendenza e celibato sacerdotale
Prospettiva psicologica
Wenceslao Vial MenaIntroduzione
La nozione psicologica di
autotrascendenza (Selbst-Transzendenz) indica la capacità
essenziale dell’essere umano di uscire da sé, di superare i suoi
condizionamenti interni ed esterni e dirigersi verso le realtà oggettive.
È una disposizione costitutiva verso la trascendenza. Se il termine sono
gli altri, sarà orizzontale; se è Dio, verticale. Si
collega con la volontà di senso, quale movente dell’agire umano,
che spinge alla ricerca del significato dell’esistenza. Alla luce
dell’Assoluto, è un compito che ci aspetta e al quale siamo chiamati[1].
In teologia quest’idea si può
trovare ovunque: si parla all’uomo che s’interroga sull’esistenza, «con la sua
apertura alla verità e alla bellezza, con il suo senso del bene morale, con la
sua libertà e la voce della coscienza, con la sua aspirazione all’infinito e
alla felicità»[2].
L’essere umano fin da piccolo ha un
potenziale di autotrascendenza, sperimenta la
tensione verso l’alto come una saetta nell’arco[3]. Chi non la pone in pratica rimarrà in una falsa tranquillità, non avrà la
forza della tensione per lanciarsi in avanti, e rischia il
vuoto esistenziale, la mancanza di senso della vita.
In quest’articolo vogliamo studiare
in che modo l’autotrascendenza si relaziona con il celibato sacerdotale. I
motivi di convenienza[4]
di tale carisma, la donazione a Cristo con un cuore indiviso e a tutti gli
esseri umani con una paternità universale, sono di per sé autotrascendenti.
Nell’essere alter Christus, in una relazione intima e personale, il
sacerdote scopre la propria identità[5].
La nostra premessa è che i concetti
psicologici sono insufficienti per chiarire fenomeni ben più elevati come il
celibato. Se uno pensa l’uomo come un animale qualsiasi o adopera le categorie
psicologiche isolate o svuotate del loro riferimento spirituale, anche le
conclusioni saranno molto limitate e chiuse ad una realtà trascendente. Le
esperienze dei santi arrivano più lontano, più in alto e più in profondità
delle sole scienze umane[6].
Cercheremo di mostrare, con l’aiuto
di alcuni psicologi aperti alla dimensione spirituale, come l’autotrascendenza
sia fondamentale e serva alla piena realizzazione e alla salute dei sacerdoti
celibi. La scelta dell’argomento tiene conto di articoli critici, che prendono
spunto da pochi casi problematici, apparsi perfino in giornali medici[7]. Faremo qualche accenno a come sia riemerso questo concetto nella
psicologia. Vedremo il rapporto con l’amore, quale manifestazione privilegiata
dell’apertura dell’essere umano; e come il dono di sé può portare alla
maturità.
1. Dalla psicologia del profondo all’autotrascendenza
La Psicoanalisi di Sigmund Freud
(1856-1939) precisò il concetto d’inconscio e le correnti di psicologia che lo
hanno seguito saranno denominate
Psicologie del profondo (Tiefenpsychologie)[8]: secondo la loro concezione, la personalità è frutto di fattori biologici e
ambientali, senza nessun’apertura al trascendente. Nelle profondità
dell’inconscio giacciono impulsi innati, desideri, sentimenti e ricordi
repressi.
La vita psichica per Freud è uno scambio costante
d’energia sessuale: la libido. La volontà umana è
volontà di piacere e l’amore è soltanto questa libido.
L’unico stimolo dell’emotività è la ricerca dell’equilibrio, secondo il
principio dell’omeostasi. L’uomo è un sistema chiuso in se stesso,
preoccupato di mantenere questo suo equilibrio interno[9]. La filosofia, la morale e qualsiasi sapere superiore sono una
sublimazione della libido. I due istinti basilari sono:
l’istinto di morte, che porta verso l’inorganico; e
l’istinto di conservazione o Eros. Liberato dalla sua
repressione, l’uomo cerca di soddisfare i suoi istinti, finché si
esaurisce l’energia e l’istinto di morte lo fa ritornare
all’inorganico.
Alfred Adler (1870-1937), con la Psicologia Individuale,
si allontana dal meccanicismo freudiano che vede soltanto cause
deterministiche, e ammette nell’uomo una dimensione sociale e di
autorealizzazione: la condotta è determinata da un fine, da un
obiettivo. Questa meta però, altro non è che la tendenza a superare gli altri,
«che si sviluppa sotto l’influsso del sentimento d’inferiorità»[10]. La finalità è intrapsichica. La tendenza non è la libido, ma lo
sforzo per farsi valere, l’impulso all’autoaffermazione o la
volontà di potere nel senso di Nietzsche.
Per la Psicologia Analitica di Carl Jung (1875-1961) ci
sono fini e aspirazioni nel comportamento: un inconscio collettivo o
memoria della specie che immagazzina archetipi. Questi
archetipi sono immagini primordiali o impronte ereditate da
antenati umani e animali. Ammette la possibilità di una vocazione religiosa e
la domanda sul senso dell’esistenza, rimanendo però in una relazione
impersonale con l’Assoluto[11].
Gli psicologi
del profondo escludono ogni riferimento intenzionale trascendente.
L’unico scopo psichico è l’equilibrio. Si capisce come per alcuni dei suoi
seguaci il celibato sacerdotale sia «una crociata contro il padre della
propria infanzia e contro gli impulsi maschili del proprio cuore (…), una
pazzia, una barbarie»[12].
All’interno della psicoanalisi nasce una
linea più ottimista, con autori come Abraham Maslow (1908-1970), per il quale
il criterio psicodinamico più significativo è l’autorealizzazione:
tutto si dirige ad essa. Su questa base, elabora una
teoria dei bisogni: integrità, perfezione, onestà, fiducia, ecc. la
cui frustrazione provoca la malattia psichica. Le necessità superiori si
raggiungono quando sono soddisfatti i bisogni inferiori. Il rischio di tale
concezione è sopravvalutare gli istinti o i bisogni: considerare l’uomo come
una pianta che crescerà secondo gli stimoli che riceve dall’ambiente,
escludendo la tendenza verso i valori.
Con le correnti umaniste ed esistenziali,
l’apertura verso ciò che trascende il singolo è maggiore. Per Ludwig
Binswanger (1881-1966) l’uomo non è isolato, ma un essere-con-l’altro
che deve aprirsi ai simili: l’amore è il modo d’essere
fondamentale e nocciolo della sua analisi psichica[13]. Karl Jaspers (1883-1969) sottolinea invece la realtà spirituale e considera
l’esistenza stessa come trascendente: per superare la perdita del
se stesso e di Dio, caratteristiche della nostra epoca, vede
necessario il libero riferimento ad un trascendente, verso il quale
siamo in tensione[14]. Purtroppo, per lui l’essere umano è solo nel suo naufragio; Dio è troppo
lontano. Viktor von Gebsattel (1883-1973), più ottimista, mette in rilievo la
trascendenza e la relazione con Dio[15]: molti problemi psichici sono più religiosi che medici, dovuti alla perdita
del senso della vita e la riduzione dell’amore a sessualità.
Tra tanti altri autori, menzioniamo Gordon
W. Allport (1897-1967), professore di psichiatria a Harvard. Nel suo
importante studio sulla personalità[16], afferma che la mancanza di senso è più terribile dell’ansia, perché se
esiste un obiettivo determinato della propria vita è possibile sopportare
perfino l’angoscia e il terrore. La vita dell’essere umano non è un sistema
chiuso ma aperto al mondo, capace di espandersi e di trasformarsi superando se
stesso. La motivazione umana non è soltanto l’equilibrio, l’assestamento, il
riposo, la soddisfazione; quindi la personalità non è solo il controllo della
tensione. Tendere verso qualcosa o qualcuno al di fuori di sé non è negativo o
da superare, ma essenziale alla persona.
Arriviamo al concetto di autotrascendenza,
accennato da esistenzialisti come Sören Kierkegaard (1813-1855), che scrive:
«misero quell’uomo che non ha mai provato l’impulso dell’amore di sacrificare
tutto per amore»[17]; e sostiene che la porta della felicità si apre verso fuori: chi tenta di
aprirla verso l’interno, la chiude[18].
I fenomenologi, con riferimento all’intenzionalità
–la caratteristica di alcuni processi psichici di tendere verso un oggetto–
danno maggior rilievo all’autotrascendenza. Lo psichiatra e filosofo austriaco
Viktor Frankl (1905-1997), fondatore della Logoterapia, ha il merito di
mettere al centro della psicologia la volontà di senso –ben diversa
dalla volontà di piacere e dalla volontà di potere– e
l’autotrascendenza, come capacità specifica della dimensione spirituale.
L’essere umano è veramente umano nella misura in cui si eleva sopra la sua
condizione, superandola. Quello che permette di sovrastare i condizionamenti
fisici, psichici e sociali è la trascendenza: così si diventa uomo[19].
Lo psichiatra di Vienna usa un paragone: la
capacità dell’occhio di percepire il mondo impedisce di vedersi. Invece,
quando l’occhio è malato, ad esempio con una cataratta, vede se stesso.
Nell’uomo accade qualcosa di simile: giunge ad essere pienamente se stesso
nella misura in cui dimentica il proprio Io, ponendosi al servizio di
una causa, dedicandosi ad un compito o ad una persona, in definitiva dando un
senso alla sua vita.
C’è il rischio di prendere queste idee in senso
antropocentrico, come se l’autotrascendenza fosse indirizzata verso l’uomo
senza un correlato oggettivo. Così si arriverebbe ad un umanesimo
autosufficiente che porta all’ateismo[20]. Ma Frankl, ebreo, ha presente la trascendenza vera, come si vede nelle sue
opere e lui stesso ci confermò[21]. Dio, l’Assoluto, dà senso a tutta l’esistenza, come il punto di fuga al di
fuori di un quadro permette di tracciare le linee di prospettiva. L’uomo è un
essere aperto in un mondo pieno di altri esseri che bisogna incontrare e di un
senso da realizzare: questa è la sua missione. L’autodeterminazione della
persona spirituale deve tenere conto di un mondo oggettivo di senso e valori.
In modo simile parla l’allora Cardinale Karol
Wojtyla sull’autoteleologia. L’uomo è –dice– in
tensione spontanea verso il valore. È libero, ma deve scegliere fra i
valori e decidere: non si chiude in se stesso, bensì si apre alla realtà;
«l’autoteleologia presuppone la teleologia: l’uomo non è il
confine dell’autodeterminazione, delle proprie scelte e dei propri atti di
volontà, indipendentemente da tutti i valori verso i quali quelle scelte e
quegli atti della volontà si rivolgono»[22]. Autoteleologia è anche autorealizzazione, le quali per essere
umane implicano un’apertura verso le persone e i valori. «L’uomo realizza se
stesso attraverso l’altro, raggiunge la propria perfezione vivendo per
l’altro»[23].
In sintesi, la trascendenza dei valori, la presenza degli
altri esseri spirituali e in particolare dell’Assoluto, dà significato alla
nostra esistenza e apporta luce al celibato sacerdotale. Si supera
l’antropologismo e l’esistenzialismo, sostituendoli con un’antropologia che
vede una finalità e un Creatore: «o l’uomo si comprende a immagine e
somiglianza di Dio, oppure si degrada a caricatura di se stesso»[24].
Le due principali manifestazioni dell’autotrascendenza
sono la coscienza e l’amore. Come sarebbe impossibile un’autoteleologia
senza la teleologia, così sarebbe impensabile un’autotrascendenza senza la
trascendenza, senza l’altro a cui donarsi.
2. Amare, inizio del trascendere
Per
spiegare il ruolo dell’amore consideriamo principalmente l’analisi che ne fa
Viktor Frankl. Secondo lui amare è un atto spirituale che costituisce la
relazione interpersonale più elevata e permette di conoscere la
persona in se stessa. Se l’amore è genuino, saremo di fronte ad un
io che ama un tu; qualcosa che sta al di sopra della
semplice affettività e dei condizionamenti psicofisici, che arriva allo
spirito. Ne distingue tre tipi: a) il più primitivo o sessuale, che si
riferisce al corporeo; b) una forma superiore o erotica che raggiunge il
livello psichico, cioè un’emotività o certi tratti di carattere che sono in
grado di portare ad un innamoramento; c) in terzo luogo, l’amore vero e
autentico, che consiste nell’orientamento verso la persona spirituale
dell’essere amato.
L’amore
radicale non si ferma, come scrisse nel suo primo libro, su quello che l’amato
ha, ma su quello che è, sulla sua essenza: va oltre la fine dell’esistenza
terrena ed è per sempre[25]. È l’orientamento verso l’altro in tutto quello che la sua vita ha di
particolare, nella sua condizione di persona unica e irrepetibile: lo spirito
si apre al mondo nella sua pienezza, alla totalità dei valori.
In queste
tre forme di amore, il fondatore della Logoterapia scorge una gradazione dal
piacere alla felicità. La pura soddisfazione sessuale provoca piacere come un
semplice stato. L’amore erotico dà luogo alla gioia, implica una
certa intenzionalità. Il vero amore porta alla felicità. Ci troviamo di fronte
ad una scala d’intenzionalità: il vero amore è intenzionale, ma anche
produttivo.
L’amore è
pure intuitivo e ha un’importante funzione conoscitiva, perché riesce a vedere
una persona nella sua singolarità. Avviene una scelta in modo particolare: la
scelta di un tu. Non è una relazione anonima, originata da
un Es come fonte d’impulsività o da semplici legami sociali. Si deve
tornare all’amore in tutta la sua pienezza, non cosificabile, come
manifestazione della relazione dell’uomo con il mondo, con le cose, con il
prossimo, con Dio[26].
Quando
l’amore decade, quando non c’è come obiettivo una persona, anche nella sua
dimensione spirituale, degenera la volontà di senso. Tutto diventa
soggettivo, con valore per me nella misura in cui sia utile. Non si
aspira ad un significato o valore assoluto. Un uomo così è mosso dalla
volontà di potere. E questo potere trasforma la persona in egoista.
«L’io che ama –dice Frankl–, nel darsi, anzi nel donarsi al
tu, prova un arricchimento interiore (…); il vero amore non rende
ciechi, ma invece più capaci»[27].
Dall’amore
umano si trascende al divino. A questo livello, lontano dall’immanente, si
trova l’intero significato. Frankl parla di Dio come di
Superpersona, capace di essere amata e di amare: l’amore perfetto
come tale è anche reciproco. Possiamo dirigerci a Lui con un
Tu. Così, la trascendenza assoluta, paradossalmente, si converte in
intimità.
Il dono del
celibato sacerdotale si spiega molto bene con queste idee sull’amore[28]. L’intenzionalità infinita dell’atto d’amore è colmata quando
l’oggetto unico ed eterno, il Tu, è lo stesso Dio a cui il sacerdote
si offre con un cuore indiviso e viene corrisposto. L’amore fa
conoscere meglio l’Amato e si raggiunge la piena realizzazione, anche
a livello biopsicosociale come rileva la psicologia[29].
3. Il celibato come realizzazione dell'autotrascendenza
Tra le caratteristiche della maturità, spicca la capacità di uscire da sé, di
comprendere ed interagire con l’ambiente, con altre persone. Il bambino nel
suo sviluppo si rende conto di se stesso e poi scopre il volto della mamma,
degli altri, raggiungendo fiducia e autonomia. L’adolescente che supera la
crisi acquista un’identità personale che gli fa cogliere il senso della sua
vita e delle sue emozioni, una gerarchia di valori, un posto tra i suoi
coetanei. L’adulto maturo continua quest’itinerario, esce da sé, si preoccupa
degli altri, della società nel suo insieme.
Il criterio di maturità può essere il grado d’identità, come per Erik
Erikson (1902-1994); o l’autorealizzazione –realizzare se stesso–,
come per Maslow, ma si dovrebbero incoraggiare le caratteristiche
dell’autotrascendenza. La prima di esse si può scoprire in quella che Allport
chiama estensione del senso dell’Io: la persona si apre ad altri, si
preoccupa del benessere dell’altro, appartiene a nuovi gruppi, nuove idee,
nuove ambizioni. La vocazione personale s’introduce nel senso
dell’Io. La persona matura comincia a partecipare e non soltanto ad
agire: s’interessa a diversi campi e li incorpora. Così «la maturità aumenta
man mano che la vita si distacca dall’imponente immediatezza del corpo e
dell’egocentrismo»[30].
Le altre caratteristiche della maturità –secondo Allport– sono: il
cordiale rapporto con gli altri; la sicurezza emotiva, che
fa evitare reazioni eccessive riguardanti le pulsioni, tollerare le
frustrazioni e tener presenti le convinzioni e i sentimenti altrui; la
percezione realistica, per svolgere il proprio mestiere lasciando da
parte gli impulsi egoistici e rimanendo in contatto con il mondo reale;
l’auto-oggettivazione o comprensione di sé e il
senso dell’umorismo –prendere distanza dalle cose e da noi– per
capire meglio gli altri e aiutarli; e una
concezione unificatrice della vita e del suo scopo, che permette un
orientamento nei valori e di organizzare l’esistenza.
Nel cristiano, l’acquisizione di queste caratteristiche viene facilitata da un
Modello. Essere maturi è un processo che ha un presupposto: «d’accordo: devi
avere personalità, ma la tua deve cercare di identificarsi con Cristo»[31], scrisse san Josemaría. Logicamente i contrassegni dell’autotrascendenza
devono essere presenti nel sacerdote e prendere forma nelle virtù[32]. Deve sforzarsi perché né il ministero né il dono del celibato assicurano la
sua maturità.
Se uno vuole sviluppare pienamente la propria personalità, essere felice, non
può guardare soltanto se stesso. Benedetto XVI scrive: «le nostre esistenze
sono in profonda comunione tra loro, mediante molteplici interazioni sono
concatenate una con l'altra. Nessuno vive da solo. Nessuno pecca da solo.
Nessuno è salvato da solo. Continuamente entra nella mia vita quella degli
altri: in ciò che penso, dico, faccio, opero. E viceversa, la mia vita entra
in quella degli altri: nel male come nel bene»[33].
L’autotrascendenza matura, anche del sacerdote celibe, si manifesta in questa
fiducia di non essere mai solo e nella speranza che lo fa guardare oltre le
difficoltà, appoggiandosi con gran tranquillità in Dio che «ha iniziato
quest’opera buona» e «la porterà a compimento» (Fil 1, 1), nonostante gli
ostacoli personali e dell’ambiente. La speranza, riconducibile all’amore come
ogni virtù, ci permette di avere fiducia in un significato e un aiuto
trascendente, si trova radicata nell’essenza dell’essere umano, come la
volontà di senso e ci dà forza e sicurezza[34].
Un pericolo grande per la maturità e per vivere bene il celibato è
l’egocentrismo. L’uomo o la donna che mette il suo Io al centro di
tutto non è in grado di vivere la sua esistenza come rapporto irripetibile con
Dio e con la sua creazione. L’egocentrismo è legato all’egoismo, del quale san
Tommaso scrisse: «manifestum est quod
inordinatus amor sui est causa omnis peccati»[35].
Abbiamo questa tendenza per il peccato originale, e si può accentuare
quando nell’educazione il bambino è posto al centro di tutto[36].
L’amore
inteso in chiave egocentrica provoca sofferenza e può far fallire sia il
matrimonio sia l’impegno di corrispondere al dono del celibato. Ogni amore
vero arricchisce chi ama, ma non rimane nel soggetto, comporta donazione,
sacrificio per la persona amata. L’amore umano non è un semplice istinto di
conservazione della specie né un mezzo indirizzato al piacere sessuale. Quando
manca la virtù, quando si guarda troppo il piacere o la corporalità –in sé
buona– si rischia di rovinare l’amore e perfino il piacere, dando luogo a
malattie psichiche e deviazioni[37]. L’autotrascendenza si compromette, si «tagliano le ali dello spirito»[38], come afferma Heinz Remplein (n. 1914).
Alcuni non
capiscono il celibato proprio perché parlano di amore come sinonimo di
sessualità. Quando l’amore non è genuino, autotrascendente, resta fermo
nell’espressione di se stesso e si prova solitudine: si cercano relazioni
d’intimità che deviano in promiscuità. Il vero amore crea delle unioni, la
mera sessualità le distrugge: «ogni autentico movimento d’amore eleva»[39].
Chi vive il
celibato non è immune da una fissazione egocentrica, ma se si sforza ogni
giorno per far crescere l’amore di Dio, che ispira e sostiene la sua castità[40], come una persona impegnata e non come scapolo, con la grazia, potrà
perseverare nel dono. I problemi cominciano quando si raffredda l’amore, si
perde di vista la meta, Gesù, si chiudono gli occhi alla trascendenza e si
rivolgono all’Io.
Nei
candidati al sacerdozio, anche per ravvivare in loro il desiderio di vivere
con fedeltà il celibato, si deve esaminare la capacità di autotrascendenza,
manifestata tra l’altro nella virtù della castità –amore vero–, la rettitudine
d’intenzione e l’oblio di sé. Si deve favorire una sana educazione dell’amore:
il cuore deve imparare ad amare[41]. Come affermò Vallejo-Nágera, noto psichiatra spagnolo: «l’educazione alla
castità è molto salutare e ci ha aiutato tantissimo a superare i problemi
legati all’età. Invece la presunta libertà sessuale che si predica
adesso, certamente riempie le sale d’aspetto degli psichiatri»[42].
La maturità affettiva di coloro che desiderano vivere il celibato implica la
coscienza del posto centrale dell’amore nell’esistenza umana[43], e la libertà psicologica che permette di uscire da sé, di trascendersi e
trovare una piena soddisfazione. Il sacerdote celibe deve avere una relazione
interpersonale matura; in qualche modo sarà simile alla relazione
paterno-filiale e a quella dell’aiuto professionale[44], per diventare padre di tutti, medico e pastore.
Studi psicologici recenti, come quelli di Cloninger, confermano l’importanza,
anche per il benessere psicosociale, dell’autotrascendenza, del lavoro a
servizio degli altri e della ricerca di un senso spirituale. La persona, per
essere felice, deve superare l’immaturità e raggiungere una coscienza di sé
più trascendente. L’uomo passa da uno stato infantile, dalla gratificazione
immediata, ad uno adulto che non può rimanere egocentrico[45].
Conclusioni
L’autotrascendenza è un concetto valido per illuminare alcuni segni
caratteristici della vita sacerdotale. Essendo essenziale a qualsiasi persona,
diventa ancora più importante e urgente nel sacerdote, che deve rivolgersi a
Dio con un amore vero ed effettivo per servire gli altri. Il celibato
propter regnum caelorum (Mt 19, 12) non rende l’uomo meno capace di
uscire da sé, ma al contrario, lo stimola in quella direzione. La maturità
personale e la propria identità del sacerdote si rafforzano. La piena
autotrascendenza e l’autentica autorealizzazione sono possibili perché Dio è
indubbiamente in grado di colmare le necessità del cuore, di riempirlo di
senso.
Il celibato inoltre è un modo
di testimoniare l’apertura universale dell’amore di Gesù Cristo. Così parlava
Giovanni Paolo II ai presbiteri: «ci rendiamo conto che il “realizzare se
stessi” nella vita ha un riferimento ed un fine trascendenti, contenuti nel
concetto di “gloria di Dio”: la nostra vita è chiamata a diventare
officium laudis»[46]. E avvertiva i medici: «nessuna adeguata stima dell’uomo o dei requisiti per
il compimento umano e il benessere psico-sociale possono essere fatti senza
rispetto per la dimensione spirituale e capacità per l’autotrascendenza»[47].
L’autotrascendenza è indispensabile
per mantenere l’equilibrio e la salute fisica, psichica e spirituale. La vita
matrimoniale o l’uso della facoltà riproduttiva non sono invece
imprescindibili. L’uomo non è spinto soltanto da forze cieche,
profonde, ma è anche attirato da realtà che stanno al di fuori di
lui: il senso, i valori, le altre persone, Dio. Per questo l’egocentrismo è un
rischio serio.
Il celibato sacerdotale non limita
l’affettività umana ma richiede maturità: una «scelta di libertà e accoglienza
grata di una particolare vocazione di amore per Dio e per gli uomini»[48]. Anche se la grazia è sempre efficace, e Dio può guarire ogni deficienza,
non è meno vero che Lui conta sulla collaborazione dell’uomo, perciò bisogna
conoscere la psicologia dei candidati[49]
e sviluppare l’autotrascendenza, come una vera interiorità aperta.
Per riuscire a vivere il
celibato è necessario lasciarsi prendere da un Dio
personale. Un Dio che corrisponde all’amore ed è l’artefice della nostra
autotrascendenza. Si vede qui una significativa differenza con il celibato che
si pratica in alcune religioni orientali, in cui è l’uomo stesso il promotore
e realizzatore. Il sacerdote, invece, è stato preso dagli uomini,
homo ex hominibus assumptus (Ebr 5, 1), come servitore dei suoi
fratelli[50].
Rimangono molti temi da approfondire: il
sacrificio e l’autodonazione di Cristo[51], la formazione nei seminari, la perseveranza nella decisione definitiva al
celibato, ecc. Sarà sempre l’amore –inizio del trascendere– la forza
e l’unico modo per mantenere o ritrovare la strada, se è stata persa o
danneggiata[52].
Il concetto di autotrascendenza,
insomma, ci aiuta a capire l’adeguatezza del celibato per i presbiteri, che
cercano di essere «un’immagine viva e trasparente di Cristo sacerdote»[53]. Senza la fede s’intenderà poco questa trasparenza. La storia delle
eresie conferma che «se la fede si raffredda, diminuisce anche la forza per
perseverare; dove muore la fede, muore anche la continenza»[54].
A giustificare il celibato dunque
non basta la psicologia né altra scienza umana. Serve elevarsi al di sopra di
questo mondo. Solo chi riconosce il desiderio di trascendenza, può comprendere
che ci siano uomini disposti a seguire da vicino il Modello e ammirare il dono
che ricevono. Chi non è in grado di apprezzarlo è come chi non capisce una
sinfonia perché, con parole di Chesterton, «non ha orecchio per la musica»[55].
Persino coloro che non si considerano credenti
sperimentano –spesso inconsciamente– la tensione verso l’alto.
Alcuni, con la grazia di Dio, scoprono l’Assoluto; altri rimangono legati al
mondo materiale, dentro di sé, all’oscuro. Tutti però siamo alla
ricerca del senso della vita, con un’assetata speranza
d’autotrascendenza, che s’intravede in questi versi:
«Muore la pianta e di nuovo si sotterra,
tornano i
piedi dell’uomo al territorio,
solo le ali
sfuggono alla morte.
Il mondo è
una sfera di cristallo,
l’uomo è perduto se non vola:
non può comprendere la trasparenza»[56].
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Citare come: «Autotrascendenza e celibato sacerdotale: prospettiva psicologica», en L. Touze, y M. Arroyo, (eds.), Il celibato sacerdotale. Teologia e vita, ESC, Roma 2012, 289-302.
[1]
Cfr. Russo, F.,
«La spiritualità della persona come autotrascendenza», Acta
Philosophica, III/1 (1994), pp. 127-133. Si relaziona con l’autoteleologia
nel piano dell’operare e l’intenzionalità, nell’ambito conoscitivo
fenomenologico. È analizzata nella psicologia clinica e in alcuni test di
personalità, come il Temperament and Character Inventory (TCI), di Cloninger.
[2]
Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 33, 1.
[3]
Cfr. S. Agostino, De Civitate Dei, XIII, 3.
[4]
Cfr. Cfr. Concilio Vaticano II, Presbyterorum ordinis, n. 16;
Congregazione per il Clero,
Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, 31 gennaio
1994, n. 58; Herranz, J.,
«Sacerdozio ministeriale e legge del celibato», Studi Cattolici,
328/XXII (1988), pp. 367-369.
[5]
Cfr. Sepe, C. Attualità del celibato sacerdotale, in AA.VV.,
Solo per amore. Riflessioni sul celibato sacerdotale, Edizioni
Paoline, Milano 1993, pp. 60-75.
[6]
Torelló, J.B., Las ciencias humanas ante el celibato sacerdotal, in
Lorda, J.L., (editore), El celibato sacerdotal.
Espiritualidad, disciplina y formación de las vocaciones al sacerdocio, Eunsa, Astrolabio, Pamplona 2006, pp. 191-206.
[7]
Cfr. Delamothe, T., «Catholic priests: is better to marry than to burn (and beat up)», in
British Medical Journal 338/b2142 (maggio 2009): considera in modo
parziale i tristi casi di abuso sessuale in Irlanda, in scuole e residenze
cattoliche, come se il celibato ne fosse il motivo.
[8]
Cfr. Lersch, P., La estructura de la personalidad (Aufbau der Person), Scientia, Barcelona, 1966, pp. 584-585.
[9]
Cfr. Freud, S. Compendio della Psicoanalisi (Abriss der Psychoanalyse, 1938).
[10]
Adler, A., Conocimiento del hombre, Espasa Calpe, Madrid 1968, p. 67.
[11]
Cfr. Jung, C., Realidad del alma (Wirklichkeit der Seele),
Losada, Buenos Aires, 1957, pp. 161-173.
[12]
Drewermann, E. cit. da Torelló, J.B., Las ciencias humanas,
cit., pp. 191-206. Eugen Drewermann (n. 1940), ex sacerdote, tedesco,
abbracciò la psicologia del profondo.
[13]
Cfr. Binswanger, L., La psichiatria come scienza dell’uomo (Der Mensch in der Psychiatrie), Ponte alle grazie, Firenze 1992.
[14]
Cfr. Jaspers K., Filosofía de la existencia
(Existenzphilosophie), Madrid, 1961.
[15]
Cfr. von Gebsattel, V.F., Antropología médica (Prolegomena einer medizinischen Anthropologie), Rialp, Madrid 1966.
[16]
Cfr. Allport, G., Psicologia della personalità (Pattern and Growth in Personality), Pas-Verlag Zürich, Roma
1969, pp. 469-482.
[17]
Kierkegaard, S. “La Malattia Mortale.
Saggio di psicologia cristiana per edificazione e risveglio di
Anti-Climacus”, in Kierkegaard, S., Opere, Sansoni, Firenze, 1972 (pp. 619-692), p.
689-690.
[18]
Cit. da Frankl in Senso e valori per l’esistenza (The will to meaning), Città Nuova, Roma 1994, p. 147.
[19]
Cfr. Frankl, V., Kreuzer, F.,
In principio era il senso. Dalla psicoanalisi alla logoterapia (Im Anfang war der Sinn. Von der Psychoanalyse zur Logotherapie), Queriniana, Brescia 1995, p. 102.
[20]
Cfr. Rulla, L.M., Antropologia della vocazione cristiana, vol. 1:
Basi interdisciplinari, PIEMME, Casale Monferato, 1986, pp. 186-189.
[21]
Cfr. Vial, W., La antropología de Viktor Frankl, Editorial
Universitaria, Santiago de Chile 2000, pp. 317-321. Per le differenze con le
teorie dell’incontro di Martin Buber (1878-1965), non aperto alla trascendenza
verticale: pp. 70-72.
[22]
Wojtyla, K.,
Perché l’uomo. Scritti inediti di antropologia filosofica, Leonardo,
Milano 1995, p. 142; vedere:
Trascendenza della persona nell’agire e autoteleologia dell’uomo, pp.
137-152.
[23]
Ibidem, p. 148.
[24]
Frankl, V., Homo Patiens. Soffrire con dignità (Homo Patiens. Versuch einer Pathodize), Queriniana, Brescia 2001, p. 113.
[25]
Cfr. Frankl, V., Logoterapia e analisi esistenziale (Ärztliche Seelsorge), Morcelliana, Brescia 1972, pp. 193-196.
[26]
Cfr. Torelló, J.B., Psicología abierta, Rialp, Madrid 1972, pp.
89-95.
[27]
Frankl, V., Logoterapia e analisi esistenziale, cit., p.
165.
[28]
Cfr. Frankl, V., Torelló, J.B., Wright, J.,
Sacerdozio e senso della vita, Ares, Milano 1970.
[29]
Cfr. Zapata, R., Celibato y madurez psicosexual y afectiva, in
El celibato, cit., pp. 81-103.
[30]
Allport, G. Psicologia della personalità, cit., p. 243; cfr. pp.
241-260.
[31]
Escrivá de Balaguer, J. San, Forgia, n. 468; cfr.
È Gesù che passa, n. 31.
[32]
Cfr. Vaticano II, Optatam Totius, n. 11.
[33]
Benedetto XVI, Spe salvi, n. 48.
[34]
Cfr. Torelló, J.B., «Sapienza e follia della croce», in Studi
Cattolici, n. 439, anno XLI (1997), pp. 580-584.
[35]
Tommaso d’aquino, San, S.Theol., I-II, q. 77, a 4.
[36]
Per egocentrismo, cfr. Torelló J.B., Psicología y vida espiritual,
Rialp, Madrid 2008, pp. 110-127.
[37]
Cfr. Frankl, V., Psicoterapia nella pratica medica (Die Psychotherapie in der Praxis), Giunti-Barbera,
Firenze, 1968, pp. 45-98. Sono frequenti le disfunzioni sessuali, le
parafilie, come la pedofilia e altre fissazioni su oggetti sessuali
inadeguati, diversi dalla complementarietà naturale dell’uomo e della donna,
l’autoerotismo o l’omosessualità.
[38]
Remplein, H.,
Tratado de psicología evolutiva. El niño, el joven y el adolescente (Die Seelische Entwicklung des Menschen in Kindes und Jugendalter),
Labor, Barcelona 1971, p. 564.
[39]
von Gebsattel, V.F., Antropología médica, cit. p. 382; cfr.
pp. 374-390.
[40]
Cfr. Soria, J.L., Questioni di medicina pastorale, Japadre, L’Aquila
1969, p. 222.
[41]
Cfr. Monge, M.A., La formación de las vocaciones al celibato, in
El celibato, cit., pp. 41-58.
[42]
Olaizola, J.L., Vallejo- Nágera, J.A., La puerta de la esperanza,
Planeta, Barcelona 1992, p. 64.
[43]
Cfr. Giovanni Paolo II, Esort. ap. post-sinodale Pastores dabo vobis,
(25 marzo 1992), n. 44.
[44]
Cfr. Zapata, R., Celibato y madurez psicosexual y afectiva,
cit., pp. 99-102.
[45]
Cloninger, R.,
«The science of well-being: an integrated approach to mental health and its
disorders», in World Psychiatry, 5:2, giugno 2006, pp. 71-76.
[46]
Giovanni Paolo II, Lettera ai sacerdoti il giovedì santo, 17 marzo
1996, n. 6.
[47]
Giovanni Paolo II, Discorso ai membri dell’American Psychiatric Association, 4 gennaio 1993 in
Insegnamenti XVI, 1, pp. 13-15 (orig. inglese; trad. italiana in
www.vatican.va).
[48]
Cfr. Congregazione per il Clero,
Direttorio per il ministero e la vita dei presbiteri, cit.,
n. 59.
[49]
Cfr. Congregazione per l’Educazione Cattolica,
Orientamenti per l'utilizzo delle competenze psicologiche nell'ammissione e
nella formazione dei candidati al sacerdozio,
30 ottobre 2008.
[50]
Cfr. Del Portillo, A., El celibato sacerdotal en el Decreto
Presbyterorum ordinis, in El celibato, cit., pp. 107-127:
apparso in Palabra, N° 32, aprile 1968.
[51]
Il sacerdote celibe rispecchia meglio quella suprema autodonazione: cfr.
Goyret, P.,
Prospettiva dogmatica del celibato sacerdotale: fra memoria e attesa;
in Sacerdozio e celibato nella Chiesa, Centro ambrosiano, Milano
2007, pp. 133-148.
[52]
Cfr. Benedetto XVI, Gesù di Nazaret (Jesus von Nazareth – Von der Taufe im Jordan bis zur Verklärung), Rizzoli, Milano 2007, p. 212.
[53]
Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, n. 12.
[54]
Stickler, A.M.,
El celibato eclesiástico: su historia y sus fundamentos teológicos,
in El celibato, cit., pp. 129-189, p. 156.
[55]
Chesterton, G.K., Orthodoxy, Doubleday, New York 2001, pp. 165-166.
[56]
Neruda, P., El vuelo, in Arte de pájaros, Editorial
Sudamericana, Buenos Aires 2004, pp. 50-52.
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