LETTERA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
ALLA DIOCESI E ALLA CITTÀ DI ROMA SUL COMPITO URGENTE DELL’EDUCAZIONE
Fonte: www.vatican.it (vedere anche Discorso di Verona
(19-X-2006); le sottolineature sono nostre
Cari fedeli di Roma,
ho
pensato di rivolgermi a voi con questa lettera per parlarvi di un problema che
voi stessi sentite e sul quale le varie componenti della nostra Chiesa si
stanno impegnando: il problema dell’educazione. Abbiamo tutti a cuore il
bene delle persone che amiamo, in particolare dei nostri bambini, adolescenti e
giovani. Sappiamo infatti che da loro dipende il futuro di questa nostra città.
Non possiamo dunque non essere solleciti per la formazione delle nuove
generazioni, per la loro capacità di orientarsi nella vita e di discernere il
bene dal male, per la loro salute non soltanto fisica ma anche morale.
Educare
però non è mai stato facile, e oggi sembra diventare sempre più difficile. Lo
sanno bene i genitori, gli insegnanti, i sacerdoti e tutti coloro che hanno
dirette responsabilità educative. Si parla perciò di una grande “emergenza
educativa”, confermata dagli insuccessi a cui troppo spesso vanno incontro i
nostri sforzi per formare persone solide, capaci di collaborare con gli altri e
di dare un senso alla propria vita. Viene spontaneo, allora, incolpare le nuove
generazioni, come se i bambini che nascono oggi fossero diversi da quelli che
nascevano nel passato. Si parla inoltre di una “frattura fra le generazioni”,
che certamente esiste e pesa, ma che è l’effetto, piuttosto che la causa, della
mancata trasmissione di certezze e di valori.
Dobbiamo
dunque dare la colpa agli adulti di oggi, che non sarebbero più capaci di
educare? E’ forte certamente, sia tra i genitori che tra gli insegnanti e in
genere tra gli educatori, la tentazione di rinunciare, e ancor prima il rischio
di non comprendere nemmeno quale sia il loro ruolo, o meglio la missione ad
essi affidata. In realtà, sono in questione non soltanto le responsabilità
personali degli adulti o dei giovani, che pur esistono e non devono essere
nascoste, ma anche un’atmosfera diffusa, una mentalità e una forma di cultura
che portano a dubitare del valore della persona umana, del significato stesso
della verità e del bene, in ultima analisi della bontà della vita. Diventa
difficile, allora, trasmettere da una generazione all’altra qualcosa di valido
e di certo, regole di comportamento, obiettivi credibili intorno ai quali
costruire la propria vita.
Cari
fratelli e sorelle di Roma, a questo punto vorrei dirvi una parola molto
semplice: Non temete! Tutte queste difficoltà, infatti, non sono
insormontabili. Sono piuttosto, per così dire, il rovescio della medaglia
di quel dono grande e prezioso che è la nostra libertà, con la responsabilità
che giustamente l’accompagna. A differenza di quanto avviene in campo tecnico o
economico, dove i progressi di oggi possono sommarsi a quelli del passato,
nell’ambito della formazione e della crescita morale delle persone non esiste
una simile possibilità di accumulazione, perché la libertà dell’uomo è sempre
nuova e quindi ciascuna persona e ciascuna generazione deve prendere di nuovo, e
in proprio, le sue decisioni. Anche i più grandi valori del passato non possono
semplicemente essere ereditati, vanno fatti nostri e rinnovati attraverso una,
spesso sofferta, scelta personale.
Quando
però sono scosse le fondamenta e vengono a mancare le certezze essenziali, il
bisogno di quei valori torna a farsi sentire in modo impellente: così, in
concreto, aumenta oggi la domanda di un’educazione che sia davvero tale. La
chiedono i genitori, preoccupati e spesso angosciati per il futuro dei propri
figli; la chiedono tanti insegnanti, che vivono la triste esperienza del
degrado delle loro scuole; la chiede la società nel suo complesso, che vede
messe in dubbio le basi stesse della convivenza; la chiedono nel loro intimo
gli stessi ragazzi e giovani, che non vogliono essere lasciati soli di fronte
alle sfide della vita. Chi crede in Gesù Cristo ha poi un ulteriore e più forte
motivo per non avere paura: sa infatti che Dio non ci abbandona, che il suo
amore ci raggiunge là dove siamo e così come siamo, con le nostre miserie e
debolezze, per offrirci una nuova possibilità di bene.
Cari
fratelli e sorelle, per rendere più concrete queste mie riflessioni, può essere
utile individuare alcune esigenze comuni di un’autentica educazione.
Essa ha bisogno anzitutto di quella vicinanza e di quella fiducia che nascono
dall’amore: penso a quella prima e fondamentale esperienza dell’amore che i
bambini fanno, o almeno dovrebbero fare, con i loro genitori. Ma ogni vero
educatore sa che per educare deve donare qualcosa di se stesso e che soltanto
così può aiutare i suoi allievi a superare gli egoismi e a diventare a loro
volta capaci di autentico amore.
Già
in un piccolo bambino c’è inoltre un grande desiderio di sapere e di capire,
che si manifesta nelle sue continue domande e richieste di spiegazioni. Sarebbe
dunque una ben povera educazione quella che si limitasse a dare delle nozioni e
delle informazioni, ma lasciasse da parte la grande domanda riguardo alla
verità, soprattutto a quella verità che può essere di guida nella vita.
Anche
la sofferenza fa parte della verità della nostra vita. Perciò, cercando
di tenere al riparo i più giovani da ogni difficoltà ed esperienza del dolore,
rischiamo di far crescere, nonostante le nostre buone intenzioni, persone
fragili e poco generose: la capacità di amare corrisponde infatti alla capacità
di soffrire, e di soffrire insieme.
Arriviamo
così, cari amici di Roma, al punto forse più delicato dell’opera educativa:
trovare un giusto equilibrio tra la libertà e la disciplina. Senza regole
di comportamento e di vita, fatte valere giorno per giorno anche nelle piccole
cose, non si forma il carattere e non si viene preparati ad affrontare le prove
che non mancheranno in futuro. Il rapporto educativo è però anzitutto
l’incontro di due libertà e l’educazione ben riuscita è formazione al retto uso
della libertà. Man mano che il bambino cresce, diventa un adolescente e poi un
giovane; dobbiamo dunque accettare il rischio della libertà, rimanendo
sempre attenti ad aiutarlo a correggere idee e scelte sbagliate. Quello che
invece non dobbiamo mai fare è assecondarlo negli errori, fingere di non
vederli, o peggio condividerli, come se fossero le nuove frontiere del
progresso umano.
L’educazione
non può dunque fare a meno di quell’autorevolezza che rende credibile
l’esercizio dell’autorità. Essa è frutto di esperienza e competenza, ma si
acquista soprattutto con la coerenza della propria vita e con il
coinvolgimento personale, espressione dell’amore vero. L’educatore è quindi un
testimone della verità e del bene: certo, anch’egli è fragile e può mancare, ma
cercherà sempre di nuovo di mettersi in sintonia con la sua missione.
Carissimi
fedeli di Roma, da queste semplici considerazioni emerge come nell’educazione
sia decisivo il senso di responsabilità: responsabilità dell’educatore,
certamente, ma anche, e in misura che cresce con l’età, responsabilità del
figlio, dell’alunno, del giovane che entra nel mondo del lavoro. E’
responsabile chi sa rispondere a se stesso e agli altri. Chi crede cerca inoltre,
e anzitutto, di rispondere a Dio che lo ha amato per primo.
La
responsabilità è in primo luogo personale, ma c’è anche una responsabilità che
condividiamo insieme, come cittadini di una stessa città e di una nazione, come
membri della famiglia umana e, se siamo credenti, come figli di un unico Dio e
membri della Chiesa. Di fatto le idee, gli stili di vita, le leggi, gli
orientamenti complessivi della società in cui viviamo, e l’immagine che essa dà
di se stessa attraverso i mezzi di comunicazione, esercitano un grande
influsso sulla formazione delle nuove generazioni, per il bene ma spesso anche
per il male. La società però non è un’astrazione; alla fine siamo noi stessi,
tutti insieme, con gli orientamenti, le regole e i rappresentanti che ci diamo,
sebbene siano diversi i ruoli e le responsabilità di ciascuno. C’è bisogno
dunque del contributo di ognuno di noi, di ogni persona, famiglia o gruppo
sociale, perché la società, a cominciare da questa nostra città di Roma,
diventi un ambiente più favorevole all’educazione.
Vorrei
infine proporvi un pensiero che ho sviluppato nella recente Lettera enciclica Spe
salvi sulla speranza cristiana: anima dell’educazione, come
dell’intera vita, può essere solo una speranza affidabile. Oggi la nostra
speranza è insidiata da molte parti e rischiamo di ridiventare anche noi, come
gli antichi pagani, uomini “senza speranza e senza Dio in questo mondo”, come
scriveva l’apostolo Paolo ai cristiani di Efeso (Ef 2,12). Proprio da
qui nasce la difficoltà forse più profonda per una vera opera educativa: alla
radice della crisi dell’educazione c’è infatti una crisi di fiducia nella
vita.
Non
posso dunque terminare questa lettera senza un caldo invito a porre in Dio la
nostra speranza. Solo Lui è la speranza che resiste a tutte le delusioni; solo
il suo amore non può essere distrutto dalla morte; solo la sua giustizia e la
sua misericordia possono risanare le ingiustizie e ricompensare le sofferenze
subite. La speranza che si rivolge a Dio non è mai speranza solo per me, è sempre
anche speranza per gli altri: non ci isola, ma ci rende solidali nel bene, ci
stimola ad educarci reciprocamente alla verità e all’amore.
Vi
saluto con affetto e vi assicuro uno speciale ricordo nella preghiera, mentre a
tutti invio la mia Benedizione.
Dal
Vaticano, 21 gennaio 2008
BENEDICTUS
PP. XV
0 Commenti