DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO
II
AI PROFESSORI E AGLI
ALUNNI DELLA PONTIFICIA UNIVERSITÀ «SAN
TOMMASO D'AQUINO»Giovedì, 24 novembre 1994
Cari Religiosi, Insegnanti ed Alunni
dell’Angelicum!
1. Sono lieto di trovarmi
per la seconda volta in mezzo a voi, in questa Università che anch’io, da
giovane, ho frequentato. Rivolgo un cordiale saluto al Gran Cancelliere, P.
Timothy Radcliffe, che ringrazio per le gentili parole di benvenuto, al
Magnifico Rettore, ai docenti ed agli studenti, mentre con pensiero affettuoso
intendo altresì raggiungere, da questo prestigioso centro di studi, i membri
dell’intera Famiglia domenicana.
Alle soglie del terzo millennio, guardando
alle gloriose tradizioni di santità e di cultura dei Frati Predicatori,
recentemente richiamate dalle beatificazioni del P. Hyacinthe-Marie Cormier,
Generale dell’Ordine e fondatore del Nuovo Collegio Angelico e di due religiose
della stessa Famiglia, Suor Marie Poussepin e Suor Agnès de Jésus Galand de
Langeac, vorrei ripercorrere con voi le tappe del grande contributo
all’evangelizzazione dato dai figli di San Domenico, per soffermarmi su ciò che
oggi essi sono chiamati ad offrire alla Chiesa e al mondo nell’impegno della
nuova evangelizzazione.
2. La fiorente vitalità dell’Ordine si è
maggiormente espressa, lungo la storia, quando ha più intensamente condiviso
l’appartenenza alla Chiesa e la partecipazione alla sua missione. San Domenico,
“vir qui vivit in medio Ecclesiae”, ha posto al centro della vostra Regola il
carisma dell’evangelizzazione, l’Uffizio del Verbo, come dirà Santa Caterina da
Siena, scegliendo per i suoi confratelli la vita degli Apostoli: “Nos oportet
orationi et ministerio verbi intentos esse” (At 6, 4), in piena a costante
obbedienza ai Successori di Pietro.
Mi piace evocare in particolare tre fasi
salienti, in cui il carisma dell’evangelizzazione è stato vissuto dal vostro
Ordine con particolare impegno: l’ardore missionario degli inizi verso i popoli
dell’Europa, dell’Africa e dell’Asia; l’annuncio evangelico nelle terre del
nuovo Continente durante il secolo sedicesimo; lo slancio apostolico
dell’Ordine in Francia dopo la rivoluzione, ad opera specialmente del P.
Lacordaire e, in seguito, del P. Cormier.
Il servizio reso dall’Ordine dei Predicatori
all’opera missionaria nel secolo tredicesimo è davvero singolare. Con gli
Ordini Mendicanti, infatti, la Chiesa organizzò in modo consistente le missioni
“ad gentes”, oltre i confini del mondo conosciuto. Il Vangelo venne annunziato
non soltanto in tutti i paesi dell’area mediterranea, ma fu portato anche in
tanti paesi dell’estremo Oriente.
Fin da allora iniziò il dialogo con l’Islam e
si approfondì quello con gli Ebrei. Se a questo slancio missionario, si
aggiunge lo sforzo dei teologi domenicani per promuovere il servizio della
catechesi, abbiamo un panorama completo dell’opera d’inculturazione del Vangelo
intrapresa in modo esemplare nel secolo tredicesimo con il valido apporto del
carisma domenicano.
In occasione del V Centenario
dell’Evangelizzazione dell’America è stato opportunamente ricordato il prezioso
contributo dato in quell’occasione alla causa del Vangelo dalla Famiglia
domenicana. Lo testimoniano figure luminose quali Antonio Montesinos, Pedro di
Cordova, Bartolomeo de Las Casas e Juan Solano, Vescovo di Cuzco, che nel 1575,
presso Santa Maria sopra Minerva, fondò il Collegio di San Tommaso per
rispondere alle sfide dell’inculturazione.
Dopo le ferite della Rivoluzione francese, la
rinascita dell’Ordine vide la ripresa dell’osservanza regolare e il ritorno
allo studio e all’apostolato specialmente ad opera del P. Lacordaire.
Successivamente, con il sostegno e l’incoraggiamento del Papa San Pio X, il P.
Cormier svolse un ruolo decisivo per il rilancio del carisma domenicano nel
secolo ventesimo. Con fedeltà e amore alla Chiesa, egli promosse l’impegno
dell’evangelizzazione fondando a tal fine il Nuovo Collegio Angelico a Roma e
sostenendo con forza la Facoltà di Teologia di Friburgo, come pure la nascente
Scuola Biblica di Gerusalemme.
Di questa fecondità del rinnovato carisma
domenicano sono splendido esempio anche le due religiose della vostra Famiglia,
che ho avuto la gioia di elevare all’onore degli altari. È noto, infatti,
l’impegno nell’America Latina delle Suore domenicane della Presentazione,
fondate da Marie Poussepin e la carica di ardore apostolico lasciato da Suor
Agnès de Jésus Galand de Langeac, madre spirituale ed ispiratrice del fondatore
dei Sulpiziani.
3. Su tale scia si colloca l’attuale vostro
impegno nella nuova evangelizzazione. Si tratta di alimentare la fiaccola
dell’annuncio cristiano nel contesto di una opportuna inculturazione della
fede. Gli apostoli della nostra epoca hanno davanti uno scenario ben diverso da
quelli del passato e dispongono di inedite e ben più idonee risorse culturali e
scientifiche. Ma nel momento del passaggio dal secondo al terzo millennio è
forte la consapevolezza della crisi della cultura moderna, come pure la
coscienza delle responsabilità dei cristiani nell’attuale contesto. Compito
senz’altro arduo che pone i credenti, in maniera particolare, di fronte a tre
grandi categorie di uomini in difficoltà: coloro che ancora non credono, coloro
che sono nati nel contesto di popoli cristiani tra i più fedeli, ma che oggi
non credono più, e coloro che, avendo il dono della fede, non sono in grado di
conformare la propria vita al Vangelo. Davanti a tale realtà la nuova
evangelizzazione impone un nuovo slancio missionario per risvegliare le
coscienze, orientandole verso Cristo, Redentore dell’uomo.
Cari Padri Domenicani, ecco il vostro compito:
prendete parte attiva alla nuova evangelizzazione! Il vostro carisma di studio
della parola di Dio e delle realtà umane può prestare un valido servizio oggi,
come avvenne nel passato. La fedeltà al carisma vi sollecita alla approfondita comprensione
della realtà culturale del presente, alla denuncia profetica delle deviazioni
intellettuali e morali, e all’inculturazione della fede.
4. Una lettura cristiana della presente
situazione culturale non può non percepirne la crisi profonda, che è soprattutto
crisi della ragione. Molti, oggi, sono portati a riconoscere soltanto il ruolo
strumentale della ragione, in ordine alla comprensione scientifica della realtà
e all’applicazione tecnologica dei suoi risultati, escludendo dalla sua
competenza la dimensione morale e quella trascendente. In tal modo l’uomo corre
il rischio di rinunciare sempre più al compito della ragione in quanto
intelligenza, privandosi delle possibilità di arrivare alla trascendenza, e di
proporre verità assolute, fini, valori e norme di carattere incondizionato,
postulati dalla legge morale naturale, come ho sottolineato nell’enciclica
Veritatis splendor. Di fronte a questo smarrimento del ruolo dell’intelligenza,
il carisma domenicano deve ritrovare la sua vocazione all’approfondimento della
verità, dell’assoluto, delle ragioni stesse della vita.
L’uomo del nostro tempo somiglia molto al
malcapitato viandante di cui si parla nella parabola del buon Samaritano (cf.
Lc 10, 30-37): è spogliato, percosso e ferito; deve pertanto ritrovare Dio, suo
fondamento, principio e fine.
Ancorato al reale e alla ricerca della
trascendenza, il vostro carisma profetico non può conformarsi alla mentalità di
questo secolo, secondo l’ammonimento dell’apostolo Paolo (cf. Rm 12, 2). Dovete
riproporre con forza anche oggi il primato di Dio e la testimonianza del
mistero di Cristo, la fedeltà alla Chiesa (cf. Giovanni Poalo II, Discorso ai Capitolari dei Frati Predicatori,
5 settembre 1983, : Insegnamenti di Giovanni Poalo II, VI, 2 (1983) 387-393). Siete
chiamati a mettere al servizio del nostro tempo tale vostra preziosa eredità
carismatica. In particolare, Tommaso d’Aquino, che ben può essere detto “Doctor
humanitatis” per la sua dedizione appassionata alla verità e per il valore
della sua antropologia e della sua metafisica, deve diventare per voi modello
di dialogo con la cultura del nostro tempo. Attento alla verità e all’amore per
l’uomo, egli ricorda alla cultura teologica del nostro tempo la vigilanza nei
confronti delle deviazioni della cultura moderna. La sua fiducia nel potere
della verità incoraggia ad assumere il duplice compito di ricerca della verità
e di denuncia degli errori. Compito che voi già adempite efficacemente in
questa Università e negli Istituti ad essa collegati.
5. Carissimi Fratelli! Carisma dei Frati
Predicatori è di annunciare il Salvatore, proclamare a tutti gli uomini la
salvezza in Gesù Cristo, Vangelo del Padre. San Domenico l’ha imparato
dall’apostolo Paolo, le cui lettere egli portava sempre con sé, vicino al cuore.
Accanto però a tale missione il domenicano è chiamato a penetrare nei misteri
di Cristo mediante la preghiera, particolarmente con il Rosario. L’orazione,
infatti, fa esercitare in modo sublime l’ufficio di ponte culturale tra Dio e
gli uomini del nostro tempo.
Alla luce dell’eredità del vostro carisma di
evangelizzatori e dell’urgenza della sua proiezione nel nostro contesto
culturale, risalta l’importanza del tema del Congresso, che avete recentemente
celebrato, centrandolo sulla formazione. Chiamati a vivere sui due versanti
della contemplazione e della comunicazione delle verità contemplate,
“contemplari et contemplata aliis tradere” (Sant'Agostino, Summa theologiae,
II-II, 186, 6), è vostro compito fare della formazione dei futuri
evangelizzatori uno degli obiettivi primari del vostro impegno nel mondo
d’oggi. Con l’ausilio della solida dottrina di San Tommaso, il processo
della formazione deve seguire le inclinazioni al bene della natura, per
arrivare alla disponibilità alla grazia dello Spirito Santo, così che la
personalità dell’evangelizzatore domenicano sia, da una parte, effetto dei doni
di Dio, autore della natura e datore della Grazia e, dall’altra, risultato
dell’impegno della persona stessa.
Non si tratta tanto di assumere elementi
esterni, ma di sviluppare armonicamente ogni potenzialità già presente nella
natura umana. La formazione dell’uomo, infatti, consiste nello sviluppo delle
proprie capacità, nella formazione della propria libertà mediante la quale
dispone di se stesso (cf. Tommaso, Quaestiones disputatae: “De Magistro”, 11).
Occorre poi promuovere la maturazione della
persona, aiutandola a sviluppare le sue dimensioni socio-culturali, morali,
religiose mediante l’uso retto della libertà. La formazione unitaria della
personalità umana non può non tendere alla crescita integrale nelle sue
relazioni col mondo, con gli altri, e principalmente con Dio. Egli solo è Buono
(cf. Mt 19, 17). Questo implica innanzitutto, come ricorda San Tommaso, la
formazione etica che ha il primato nella formazione integrale della persona.
6. Nella perfezione cristiana, inoltre,
elementi decisivi sono la grazia e i doni dello Spirito Santo, che viene in
aiuto dell’uomo debole e peccatore. La formazione del predicatore è opera della
grazia, la quale eleva la natura, infonde le virtù teologali, e rende
l’attività dell’uomo capace di tendere a Dio come è in Se stesso. L’uomo
perfetto è colui che si conforma a Gesù Cristo, l’uomo in pienezza.
Carissimi, è questa la vostra grande missione:
la formazione iniziale e permanente, sotto l’influsso della grazia di Dio e
mediante la luce e la forza dello Spirito. Dal mistero trinitario stesso
scaturisce la forza della vostra spiritualità, capace di offrire la “forma
mentis et cordis” dell’autentico evangelizzatore per il nostro tempo.
A Maria, Regina degli Apostoli, affido le
vostre fatiche, affinché sia Lei a camminare al vostro fianco, in modo che
sappiate portare con letizia e forza all’uomo d’oggi l’annuncio vivificante del
Vangelo.
Con tali auspici, imparto a tutti la
benedizione apostolica.
(la sottolineatura è nostra)
LETTERA DEL SANTO PADRE
BENEDETTO XVI
AI SEMINARISTI
Cari Seminaristi,
nel dicembre 1944, quando
fui chiamato al servizio militare, il comandante di compagnia domandò a ciascuno
di noi a quale professione aspirasse per il futuro. Risposi di voler diventare
sacerdote cattolico. Il sottotenente replicò: Allora Lei deve cercarsi
qualcos’altro. Nella nuova Germania non c’è più bisogno di preti. Sapevo che
questa “nuova Germania” era già alla fine, e che dopo le enormi devastazioni
portate da quella follia sul Paese, ci sarebbe stato bisogno più che mai di
sacerdoti. Oggi, la situazione è completamente diversa. In vari modi, però,
anche oggi molti pensano che il sacerdozio cattolico non sia una “professione”
per il futuro, ma che appartenga piuttosto al passato. Voi, cari amici, vi
siete decisi ad entrare in seminario, e vi siete, quindi, messi in cammino
verso il ministero sacerdotale nella Chiesa Cattolica, contro tali obiezioni e
opinioni. Avete fatto bene a farlo. Perché gli uomini avranno sempre bisogno
di Dio, anche nell’epoca del dominio tecnico del mondo e della globalizzazione:
del Dio che ci si è mostrato in Gesù Cristo e che ci raduna nella Chiesa
universale, per imparare con Lui e per mezzo di Lui la vera vita e per tenere
presenti e rendere efficaci i criteri della vera umanità. Dove l’uomo non
percepisce più Dio, la vita diventa vuota; tutto è insufficiente. L’uomo cerca
poi rifugio nell’ebbrezza o nella violenza, dalla quale proprio la gioventù
viene sempre più minacciata. Dio vive. Ha creato ognuno di noi e conosce,
quindi, tutti. È così grande che ha tempo per le nostre piccole cose: “I
capelli del vostro capo sono tutti contati”. Dio vive, e ha bisogno di uomini che
esistono per Lui e che Lo portano agli altri. Sì, ha senso diventare sacerdote:
il mondo ha bisogno di sacerdoti, di pastori, oggi, domani e sempre, fino a
quando esisterà.
Il seminario è una
comunità in cammino verso il servizio sacerdotale. Con ciò, ho già detto
qualcosa di molto importante: sacerdoti non si diventa da soli. Occorre la
“comunità dei discepoli”, l’insieme di coloro che vogliono servire la comune
Chiesa. Con questa lettera vorrei evidenziare – anche guardando indietro al mio
tempo in seminario – qualche elemento importante per questi anni del vostro
essere in cammino.
1. Chi vuole diventare
sacerdote, dev’essere soprattutto un “uomo di Dio”, come lo descrive san Paolo
(1 Tm 6,11). Per noi Dio non è un’ipotesi distante, non è uno sconosciuto che
si è ritirato dopo il “big bang”. Dio si è mostrato in Gesù Cristo. Nel volto
di Gesù Cristo vediamo il volto di Dio. Nelle sue parole sentiamo Dio stesso
parlare con noi. Perciò la cosa più importante nel cammino verso il sacerdozio
e durante tutta la vita sacerdotale è il rapporto personale con Dio in Gesù
Cristo. Il sacerdote non è l’amministratore di una qualsiasi associazione, di
cui cerca di mantenere e aumentare il numero dei membri. È il messaggero di Dio
tra gli uomini. Vuole condurre a Dio e così far crescere anche la vera
comunione degli uomini tra di loro. Per questo, cari amici, è tanto importante
che impariate a vivere in contatto costante con Dio. Quando il Signore dice:
“Pregate in ogni momento”, naturalmente non ci chiede di dire continuamente
parole di preghiera, ma di non perdere mai il contatto interiore con Dio.
Esercitarsi in questo contatto è il senso della nostra preghiera. Perciò è
importante che il giorno incominci e si concluda con la preghiera. Che
ascoltiamo Dio nella lettura della Scrittura. Che gli diciamo i nostri desideri
e le nostre speranze, le nostre gioie e sofferenze, i nostri errori e il nostro
ringraziamento per ogni cosa bella e buona, e che in questo modo Lo abbiamo
sempre davanti ai nostri occhi come punto di riferimento della nostra vita.
Così diventiamo sensibili ai nostri errori e impariamo a lavorare per
migliorarci; ma diventiamo sensibili anche a tutto il bello e il bene che
riceviamo ogni giorno come cosa ovvia, e così cresce la gratitudine. Con la
gratitudine cresce la gioia per il fatto che Dio ci è vicino e possiamo
servirlo.
2. Dio non è solo una
parola per noi. Nei Sacramenti Egli si dona a noi in persona, attraverso cose
corporali. Il centro del nostro rapporto con Dio e della configurazione della
nostra vita è l’Eucaristia. Celebrarla con partecipazione interiore e
incontrare così Cristo in persona, dev’essere il centro di tutte le nostre
giornate. San Cipriano ha interpretato la domanda del Vangelo: “Dacci oggi il
nostro pane quotidiano”, dicendo, tra l’altro, che “nostro” pane, il pane che
possiamo ricevere da cristiani nella Chiesa, è il Signore eucaristico stesso.
Nella domanda del Padre Nostro preghiamo quindi che Egli ci doni ogni giorno
questo “nostro” pane; che esso sia sempre il cibo della nostra vita. Che il
Cristo risorto, che si dona a noi nell’Eucaristia, plasmi davvero tutta la
nostra vita con lo splendore del suo amore divino. Per la retta celebrazione
eucaristica è necessario anche che impariamo a conoscere, capire e amare la
liturgia della Chiesa nella sua forma concreta. Nella liturgia preghiamo con i
fedeli di tutti i secoli – passato, presente e futuro si congiungono in un
unico grande coro di preghiera. Come posso affermare per il mio cammino
personale, è una cosa entusiasmante imparare a capire man mano come tutto ciò
sia cresciuto, quanta esperienza di fede ci sia nella struttura della liturgia
della Messa, quante generazioni l’abbiano formata pregando.
3. Anche il sacramento
della Penitenza è importante. Mi insegna a guardarmi dal punto di vista di Dio,
e mi costringe ad essere onesto nei confronti di me stesso. Mi conduce
all’umiltà. Il Curato d’Ars ha detto una volta: Voi pensate che non abbia senso
ottenere l’assoluzione oggi, pur sapendo che domani farete di nuovo gli stessi
peccati. Ma – così dice – Dio stesso dimentica al momento i vostri peccati di
domani, per donarvi la sua grazia oggi. Benché abbiamo da combattere continuamente con gli stessi errori, è
importante opporsi all’abbrutimento dell’anima, all’indifferenza che si rassegna
al fatto di essere fatti così. È importante restare in cammino, senza
scrupolosità, nella consapevolezza riconoscente che Dio mi perdona sempre di
nuovo. Ma anche senza indifferenza, che non farebbe più lottare per la santità
e per il miglioramento. E, nel lasciarmi perdonare, imparo anche a perdonare
gli altri. Riconoscendo la mia miseria, divento anche più tollerante e
comprensivo nei confronti delle debolezze del prossimo.
4. Mantenete pure in voi
la sensibilità per la pietà popolare, che è diversa in tutte le culture, ma che
è pur sempre molto simile, perché il cuore dell’uomo alla fine è lo stesso.
Certo, la pietà popolare tende all’irrazionalità, talvolta forse anche
all’esteriorità. Eppure, escluderla è del tutto sbagliato. Attraverso di essa, la
fede è entrata nel cuore degli uomini, è diventata parte dei loro sentimenti,
delle loro abitudini, del loro comune sentire e vivere. Perciò la pietà
popolare è un grande patrimonio della Chiesa. La fede si è fatta carne e
sangue. Certamente la pietà popolare dev’essere sempre purificata, riferita al
centro, ma merita il nostro amore, ed essa rende noi stessi in modo pienamente
reale “Popolo di Dio”.
5. Il tempo in seminario è
anche e soprattutto tempo di studio. La fede cristiana ha una dimensione razionale
e intellettuale che le è essenziale. Senza di essa la fede non sarebbe se
stessa. Paolo parla di una “forma di insegnamento”, alla quale siamo stati
affidati nel battesimo (Rm 6,17). Voi tutti conoscete la parola di San Pietro,
considerata dai teologi medioevali la giustificazione per una teologia
razionale e scientificamente elaborata: “Pronti sempre a rispondere a
chiunque vi domandi ‘ragione’ (logos) della speranza che è in voi” (1 Pt 3,15). Imparare la
capacità di dare tali risposte, è uno dei principali compiti degli anni di
seminario. Posso solo pregarvi insistentemente: Studiate con impegno!
Sfruttate gli anni dello studio! Non ve ne pentirete. Certo, spesso le materie
di studio sembrano molto lontane dalla pratica della vita cristiana e dal servizio
pastorale. Tuttavia è completamente sbagliato porre sempre subito la domanda
pragmatica: Mi potrà servire questo in futuro? Sarà di utilità pratica,
pastorale? Non si tratta appunto soltanto di imparare le cose evidentemente
utili, ma di conoscere e comprendere la struttura interna della fede nella sua
totalità, così che essa diventi risposta alle domande degli uomini, i quali
cambiano, dal punto di vista esteriore, di generazione in generazione, e
tuttavia restano in fondo gli stessi. Perciò è importante andare oltre le
mutevoli domande del momento per comprendere le domande vere e proprie e capire
così anche le risposte come vere risposte. È importante conoscere a fondo la
Sacra Scrittura interamente, nella sua unità di Antico e Nuovo Testamento: la formazione
dei testi, la loro peculiarità letteraria, la graduale composizione di essi
fino a formare il canone dei libri sacri, l’interiore unità dinamica che non si
trova in superficie, ma che sola dà a tutti i singoli testi il loro significato
pieno. È importante conoscere i Padri e i grandi Concili, nei quali la Chiesa
ha assimilato, riflettendo e credendo, le affermazioni essenziali della
Scrittura. Potrei continuare in questo modo: ciò che chiamiamo dogmatica è il
comprendere i singoli contenuti della fede nella loro unità, anzi, nella loro
ultima semplicità: ogni singolo particolare è alla fine solo dispiegamento
della fede nell’unico Dio, che si è manifestato e si manifesta a noi. Che sia
importante conoscere le questioni essenziali della teologia morale e della
dottrina sociale cattolica, non ho bisogno di dirlo espressamente. Quanto
importante sia oggi la teologia ecumenica, il conoscere le varie comunità
cristiane, è evidente; parimenti la necessità di un orientamento fondamentale
sulle grandi religioni, e non da ultima la filosofia: la comprensione del
cercare e domandare umano, al quale la fede vuol dare risposta. Ma imparate
anche a comprendere e - oso dire – ad amare il diritto canonico nella sua
necessità intrinseca e nelle forme della sua applicazione pratica: una società
senza diritto sarebbe una società priva di diritti. Il diritto è condizione
dell’amore. Ora non voglio continuare ad elencare, ma solo dire ancora una
volta: amate lo studio della teologia e seguitelo con attenta sensibilità per
ancorare la teologia alla comunità viva della Chiesa, la quale, con la sua
autorità, non è un polo opposto alla scienza teologica, ma il suo presupposto.
Senza la Chiesa che crede, la teologia smette di essere se stessa e diventa un
insieme di diverse discipline senza unità interiore.
6. Gli anni nel seminario
devono essere anche un tempo di maturazione umana. Per il sacerdote, il quale dovrà accompagnare
altri lungo il cammino della vita e fino alla porta della morte, è importante
che egli stesso abbia messo in giusto equilibrio cuore e intelletto, ragione e
sentimento, corpo e anima, e che sia umanamente “integro”. La tradizione
cristiana, pertanto, ha sempre collegato con le “virtù teologali” anche le
“virtù cardinali”, derivate dall’esperienza umana e dalla filosofia, e in
genere la sana tradizione etica dell’umanità. Paolo lo dice ai Filippesi in
modo molto chiaro: “In conclusione, fratelli, quello che è vero, quello che è
nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello
che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto dei
vostri pensieri” (4,8). Di questo
contesto fa parte anche l’integrazione della sessualità nell’insieme della
personalità. La sessualità è un dono del Creatore, ma anche un compito
che riguarda lo sviluppo del proprio essere umano. Quando non è integrata
nella persona, la sessualità diventa banale e distruttiva allo stesso tempo.
Oggi vediamo questo in molti esempi nella nostra società. Di recente abbiamo
dovuto constatare con grande dispiacere che sacerdoti hanno sfigurato il loro
ministero con l’abuso sessuale di bambini e giovani. Anziché portare le persone
ad un’umanità matura ed esserne l’esempio, hanno provocato, con i loro abusi,
distruzioni di cui proviamo profondo dolore e rincrescimento. A causa di tutto
ciò può sorgere la domanda in molti, forse anche in voi stessi, se sia bene
farsi prete; se la via del celibato sia sensata come vita umana. L’abuso, però,
che è da riprovare profondamente, non può screditare la missione sacerdotale,
la quale rimane grande e pura. Grazie a Dio, tutti conosciamo sacerdoti
convincenti, plasmati dalla loro fede, i quali testimoniano che in questo
stato, e proprio nella vita celibataria, si può giungere ad un’umanità
autentica, pura e matura. Ciò che è accaduto, però, deve renderci più vigilanti
e attenti, proprio per interrogare accuratamente noi stessi, davanti a Dio, nel
cammino verso il sacerdozio, per capire se ciò sia la sua volontà per me. È
compito dei padri confessori e dei vostri superiori accompagnarvi e aiutarvi in
questo percorso di discernimento. È un elemento essenziale del vostro cammino
praticare le virtù umane fondamentali, con lo sguardo rivolto al Dio
manifestato in Cristo, e lasciarsi, sempre di nuovo, purificare da Lui.
7. Oggi gli inizi della
vocazione sacerdotale sono più vari e diversi che in anni passati. La decisione
per il sacerdozio si forma oggi spesso nelle esperienze di una professione
secolare già appresa. Cresce spesso nelle comunità, specialmente nei movimenti,
che favoriscono un incontro comunitario con Cristo e la sua Chiesa,
un’esperienza spirituale e la gioia nel servizio della fede. La decisione
matura anche in incontri del tutto personali con la grandezza e la miseria
dell’essere umano. Così i candidati al sacerdozio vivono spesso in continenti
spirituali completamente diversi. Potrà essere difficile riconoscere gli
elementi comuni del futuro mandato e del suo itinerario spirituale. Proprio per
questo il seminario è importante come comunità in cammino al di sopra delle
varie forme di spiritualità. I movimenti sono una cosa magnifica. Voi sapete
quanto li apprezzo e amo come dono dello Spirito Santo alla Chiesa. Devono
essere valutati, però, secondo il modo in cui tutti sono aperti alla comune
realtà cattolica, alla vita dell’unica e comune Chiesa di Cristo che in tutta
la sua varietà è comunque solo una. Il seminario è il periodo nel quale
imparate l’uno con l’altro e l’uno dall’altro. Nella convivenza, forse talvolta
difficile, dovete imparare la generosità e la tolleranza non solo nel
sopportarvi a vicenda, ma nell’arricchirvi l’un l’altro, in modo che ciascuno
possa apportare le sue peculiari doti all’insieme, mentre tutti servono la
stessa Chiesa, lo stesso Signore. Questa scuola della tolleranza, anzi, dell’accettarsi
e del comprendersi nell’unità del Corpo di Cristo, fa parte degli elementi
importanti degli anni di seminario.
Cari seminaristi! Con
queste righe ho voluto mostrarvi quanto penso a voi proprio in questi tempi
difficili e quanto vi sono vicino nella preghiera. E pregate anche per me,
perché io possa svolgere bene il mio servizio, finché il Signore lo vuole.
Affido il vostro cammino di preparazione al Sacerdozio alla materna protezione
di Maria Santissima, la cui casa fu scuola di bene e di grazia. Tutti vi
benedica Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo.
Dal Vaticano, 18 ottobre
2010, Festa di San Luca, Evangelista.
Vostro nel Signore
BENEDETTO PP. XVI
PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA
CONFERENZA DI S.Em. ENNIO
CARD. ANTONELLI
PRESIDENTE DEL PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA
FAMIGLIA
La missione educativa
della famiglia oggi
Santiago de Compostela
4 settembre 2010
1. Saluto
Saluto con fraterna
amicizia nel Signore e con grande gioia S.E. l’Arcivescovo Mons. Julián Barrio
Barrio e tutti voi che partecipate a questo incontro. Il tema sul quale
rifletteremo insieme questa sera è di fondamentale importanza per le persone,
per la società e per la chiesa. “La missione educativa della famiglia oggi”: è
una missione assai difficile e nello stesso tempo più necessaria che mai per la
formazione umana e cristiana. Dobbiamo sostenerla non solo con la riflessione e
l’impegno, ma anche e soprattutto con la preghiera. Il Signore benedica con la
sua grazia la famiglia “scuola di umanità e di vita cristiana”. Lo chiediamo
per intercessione della Vergine Maria e di S.Giacomo, primo evangelizzatore
della Spagna, difensore della fede nel medioevo, costruttore della coscienza
nazionale ed europea.
2. Crisi della famiglia
nella società di oggi
A partire dalla
rivoluzione industriale, il lavoro produttivo di beni e di reddito, affidato
soprattutto all’uomo, si concentra nella fabbrica e viene retribuito in denaro,
mentre il lavoro domestico non retribuito è lasciato alla donna. Così l’uomo si
allontana dalla famiglia e abdica alla sua responsabilità educativa nei
confronti dei figli, privandoli del ruolo decisivo della figura paterna. A sua volta la donna si sente economicamente e
socialmente discriminata. E’ tentata di omologarsi al modello maschile e di
cercare anche lei la propria affermazione personale nel lavoro extradomestico,
nella professione, nella carriera. Percepisce la famiglia come un ostacolo alla
sua riuscita personale, arrivando a volte a rinunciare al matrimonio e ai
figli. Molte donne al contrario rinunciano al lavoro o a un livello
professionale più elevato, per dedicarsi ai figli e alla famiglia, spesso
soffrendo anch’esse dell’incompatibilità tra famiglia e lavoro.
Con l’espandersi
dell’economia dei servizi e con la rivoluzione informatica, si moltiplicano per
le donne le opportunità di lavoro e quindi di indipendenza finanziaria. Rimane
però molto forte la divaricazione tra lavoro e la famiglia; le esigenze e i
tempi dell’uno mal si conciliano con quelli dell’altra. Da alcuni la famiglia
viene perfino considerata un ostacolo all’efficienza produttiva del sistema e
allo sviluppo sociale, mentre il single è ritenuto più funzionale, perché è in
grado di offrire più mobilità, più disponibilità di tempo e di energie, più
propensione ai consumi.
Nella cultura dominante si
è affermato un processo di privatizzazione della famiglia, considerata
soprattutto come luogo di gratificazione affettiva, sentimentale e sessuale
degli adulti. Viene pubblicizzato come ideale di vita il benessere individuale,
gettando discredito sui legami stabili del matrimonio e della genitorialità,
promuovendo l’esercizio puramente ludico della sessualità. Non si tiene conto
dell’importanza del rapporto stabile di coppia e del bene prioritario che sono
i bambini. Si percepisce la famiglia non come una piccola comunità, soggetto
di diritti e di doveri, ma come una somma di individui che abitano
temporaneamente sotto lo stesso tetto per convergenza di interessi; non
come una risorsa per la società da valorizzare, ma come un insieme di bisogni e
desideri individuali a cui provvedere secondo le possibilità.
E’ in questo contesto che
assume proporzioni sempre più preoccupanti la triplice crisi del matrimonio,
della natalità e dell’educazione. Il numero annuo dei divorzi nell’Unione
Europea è pari alla metà dei matrimoni. Le persone sole sono già 55 milioni
corrispondenti al 29% delle abitazioni, ma si prevede che saliranno presto fino
al 40%. Si moltiplicano le forme
di convivenza: famiglie monoparentali, famiglie ricomposte, convivenze di
fatto, convivenze omosessuali. Non manca chi considera la famiglia fondata sul
matrimonio un residuo storico del passato e ne auspica la sparizione in un
futuro non molto lontano. Nell’Unione Europea i 2/3 delle famiglie sono
senza figli; l’indice medio di fecondità per donna è di 1,56, al di sotto della
quota di ricambio generazionale (2,1 per donna). L’insufficienza
dell’educazione è messa in risalto dalla larga diffusione tra i giovani di
atteggiamenti negativi e devianze sociali. Molti di essi, anche se
economicamente benestanti, crescono poveri di ideali e di speranze,
spiritualmente vuoti, interessati solo al tifo sportivo, alle canzoni di
successo, ai vestiti firmati, ai viaggi pubblicizzati, alle emozioni del sesso.
Spesso, per uscire dalla noia e dall’insicurezza, si mettono in gruppo e
diventano trasgressivi: bullismo, vandalismo, droga, rapine, stupri, delitti. I
figli che crescono con un solo genitore hanno doppia probabilità di delinquere
rispetto a quelli che vivono insieme con ambedue i genitori. Un quarto dei
figli di genitori separati presenta problemi duraturi di equilibrio psichico,
di rendimento scolastico e di adattamento sociale in misura doppia rispetto ai
figli di genitori uniti, perché i bambini hanno un vitale bisogno di essere
amati da genitori che si vogliono bene innanzitutto tra loro.
Alla crisi del matrimonio,
della natalità e dell’educazione corrisponde la crisi della società europea,
che appare piuttosto stanca e decadente. L’opinione pubblica è sensibile soprattutto
al mercato e ai diritti individuali. Mancano ideali, speranze, progetti
condivisi. Mancano la gioia di vivere e la fiducia verso il futuro. Con il
progressivo invecchiamento della popolazione si prospettano anche gravi
problemi economici: diminuiranno le forze produttive e aumenteranno le spese
per le pensioni, la sanità e l’assistenza, dato che nel 2050 per ogni 100
lavoratori ci saranno 75 pensionati e ogni lavoratore dovrà provvedere a
circa ⅔ del sostentamento di un pensionato.
Per lo sviluppo sono
necessari l’equilibrio demografico e la formazione del cosiddetto capitale
umano. Occorre trattare le questioni della famiglia a partire dalla
prospettiva dei figli. Se si privilegiassero i bambini e il loro bene,
cambierebbe la percezione del divorzio, della procreazione artificiale, della
pretesa all’adozione da parte di singles e coppie omosessuali, della corsa alla
carriera professionale, dell’organizzazione del lavoro; si riscoprirebbe
che la famiglia fondata sul matrimonio è davvero una risorsa per la società, un
soggetto di interesse pubblico non equiparabile ad altre forme di convivenza di
carattere privato.
3. La famiglia istituzione
della gratuità
I beni possono essere
strumentali in quanto voluti in funzione di qualcos’altro oppure possono essere
gratuiti in quanto voluti per se stessi come un fine. Del primo tipo sono le
cose utili, i servizi, la tecnologia, la ricchezza; del secondo tipo sono la
contemplazione della natura, la poesia, la musica, l’arte, la festa,
l’amicizia, la preghiera. Sia i beni strumentali sia i beni gratuiti sono
necessari per la vita e la felicità dell’uomo e vanno perseguiti in modo
ordinato secondo la gerarchia dei valori e al momento opportuno.
Le persone, sebbene da
esse si possano ottenere molti benefici, non devono mai essere ridotte a puro
strumento. Solo l’amore gratuito è all’altezza della loro dignità. E’ lecito e
anche necessario cercare negli altri il proprio utile, ma sarebbe cieco egoismo
e grave disordine morale ridurre a questo il rapporto con loro. Gli altri sono
un bene in se stessi e devo cercare il loro bene con la stessa serietà con cui
cerco il mio; devo farmi carico, secondo le mie possibilità, della loro
crescita umana, affrontando anche il sacrificio e portando il peso dei loro
limiti e peccati, come ha fatto Gesù nei confronti di tutti gli uomini.
Come il mercato è
l’istituzione tipica dello scambio di beni strumentali, così la famiglia è
l’istituzione paradigmatica della gratuità e dell’amore. In una famiglia autentica ognuno considera gli
altri non solo come un bene utile per la propria vita, ma come un bene in se
stessi, un bene insostituibile, senza prezzo. Se c’è un’attenzione
preferenziale è per i più deboli: bambini, malati, disabili, anziani.
Nella famiglia l’amore fa
condividere il vissuto quotidiano, il presente e il futuro, la totalità della
vita. Integra nella relazione tra i coniugi l’impegno del matrimonio, l’affetto
reciproco, l’attrazione sessuale. Porta i genitori a elargire ai figli i beni
materiali e spirituali, dedicandosi alla loro cura ed educazione.
Tutti i membri della
famiglia si educano reciprocamente. I coniugi si educano l’un l’altro; i genitori educano i figli e anche i figli
educano i genitori. Tuttavia è peculiare la responsabilità dei genitori nei
confronti dei figli. Una buona relazione educativa comporta tenerezza e
affetto, ragionevolezza e autorità. Il clima di amore e di fiducia, l’esempio e
l’esperienza concreta, l’esercizio quotidiano conferiscono all’educazione
familiare una speciale efficacia, che fa interiorizzare e assimilare i valori,
le norme, gli insegnamenti come esigenze vitali di crescita personale. I figli vengono accompagnati a
superare il narcisismo infantile, ad aprirsi agli altri, ad affrontare le sfide
e le prove della vita, a sviluppare personalità equilibrate, solide e
affidabili, costruttive e creative.
La famiglia, nella misura
in cui è unita e aperta, alimenta in tutti i suoi membri e specialmente nei
figli le cosiddette virtù sociali: il rispetto per la dignità di ogni persona,
la fiducia in se stessi, negli altri e nelle istituzioni, la responsabilità per
il bene proprio e degli altri, la sincerità, la fedeltà, il perdono, la
condivisione, la laboriosità, la collaborazione, la progettualità, la sobrietà,
la propensione al risparmio, la generosità verso i poveri, l’impegno fino al
sacrificio e altre virtù preziose per la coesione e lo sviluppo della società.
Le virtù sociali incidono
positivamente anche nell’economia. Oggi le imprese diventano sempre più
immateriali e relazionali; più che il capitale fisico, richiedono le risorse
umane: conoscenza, idee nuove, iniziativa, gusto del lavoro, capacità di
progettare e lavorare insieme, impegno per il bene comune, affidabilità. Il
mercato, istituzione dello scambio utilitario, ha bisogno di energie morali, di
fiducia, gratuità e solidarietà, che vengono generate specialmente dalla
famiglia istituzione del dono. E’ questo l’insegnamento di Benedetto XVI
nell’ultima enciclica Caritas in Veritate: “Anche nei rapporti mercantili il
principio di gratuità e la logica del dono possono e devono trovare posto
dentro la normale attività economica” (Benedetto XVI, CV 36).
L’ipertrofia dell’utilitarismo, che porta a cercare il massimo profitto ad ogni
costo, finisce per danneggiare il bene comune della società e pregiudicare la
stessa felicità individuale, che in realtà dipende più dalla qualità delle
relazioni che dall’aumento del reddito.
4. Sostegno culturale e
politico alla famiglia
Le famiglie fondate sul
matrimonio offrono alla società beni essenziali attraverso la generazione dei
nuovi cittadini e l’incremento delle virtù sociali. Perciò hanno diritto a un
adeguato riconoscimento culturale, giuridico, economico. Trenta anni fa
Giovanni Paolo II lanciava questo appello: “Le famiglie devono essere le prime
a far sì che le leggi e le istituzioni dello Stato non solo non danneggino, ma
sostengano e difendano positivamente i diritti e i doveri delle famiglie. In
questo senso devono crescere nella consapevolezza di essere protagoniste della
cosiddetta politica familiare e assumersi la responsabilità di trasformare la
società; altrimenti le famiglie saranno le prime vittime di quei mali che si
sono limitate ad osservare con indifferenza” (Giovanni Paolo II, Familiaris
Consortio, 44).
Questo appello non è
caduto nel vuoto; sta avendo una risposta sempre più vigorosa nell’attività
delle associazioni familiari. Attività multiforme: animazione culturale nelle
scuole, nelle parrocchie, nelle diocesi, nei media (stampa, radio, televisione,
internet); organizzazione di eventi con risonanza nell’opinione pubblica;
progetti ed esperienze pilota di città amica delle famiglie; pressione sui
responsabili delle istituzioni comunali, regionali, nazionali, internazionali
per una amministrazione e una politica favorevole alle famiglie; promozione di
incontri di studio e di proposta; monitoraggio delle attività parlamentari;
formazione di uomini politici e di operatori della cultura e della
comunicazione sociale, motivati e competenti.
Da parte della Chiesa, è
necessario che l’azione pastorale a diversi livelli (nazionale, diocesano,
parrocchiale) motivi fortemente le famiglie ad aderire in massa alle
associazioni familiari di impegno civile, coerenti con il Vangelo, perché
abbiano peso nell’opinione pubblica e nella politica.
Le associazioni familiari
di ispirazione cristiana chiedono che non si guardi alla famiglia come a una
somma di individui e di bisogni individuali, ma la si veda come una preziosa e
necessaria risorsa per la società da sostenere e valorizzare; si adoperano
perché siano rivalutate culturalmente la maternità e la paternità come ruoli
importanti per la maturazione umana e la felicità delle donne e degli uomini e
per il bene dei figli e della società; rivendicano provvedimenti per
incentivare la stabilità delle coppie, la natalità, la responsabilità
educativa.
5. Eclissi di Dio in
Europa
L’Europa di oggi si
presenta come il continente più secolarizzato. Molto scarsa è la partecipazione
alle celebrazioni religiose (in particolare la Messa della Domenica). La
religione da moltissima gente viene considerata poco rilevante per la vita. Si
diffondono ateismo e nihilismo, negazione di Dio e della dignità trascendente
dell’uomo (cfr. Fides et Ratio 90). La chiesa è accusata di essere
antimoderna, nemica del progresso, della libertà e della gioia di vivere,
perché disapprova i rapporti sessuali fuori del matrimonio, la contraccezione,
l’aborto, il divorzio, l’omosessualità.
Alla crisi religiosa si
associa un pesante degrado etico: individualismo e soggettivismo, egoismo
proteso al profitto, al potere e al piacere, menzogna, conflittualità,
violenza, disordine economico, corruzione politica, esercizio esclusivamente
ludico della sessualità, dilagante crisi della famiglia (divorzio, convivenze
irregolari, aborto, contraccezione, denatalità, carenza educativa).
La sfida indubbiamente è
dura e pericolosa; ma può offrire l’opportunità di una scelta di fede e di vita
cristiana più personale, consapevole, libera, controcorrente, coraggiosa. Di
fatto vediamo una fioritura di movimenti, associazioni, nuove comunità, nuclei
impegnati di cristiani e di famiglie cristiane in moltissime parrocchie. Sono
un dono dello Spirito Santo, rispondente alle necessità del nostro tempo, e un
forte motivo di speranza per il futuro, energie nuove per la nuova
evangelizzazione. Costituiscono un valido riferimento per i cristiani mediocri,
per le famiglie in crisi e per i non credenti.
Del resto, malgrado la
secolarizzazione, rimane nella gente un diffuso bisogno di spiritualità e la
devozione popolare continua a prosperare in vari Paesi d’Europa: lo indicano
eloquentemente i pellegrinaggi ai santuari, più affollati che mai.
In un tempo di crisi delle
ideologie e di sfiducia nelle dottrine, il fascino della santità vissuta rimane
intatto. Nella lettera apostolica Novo Millennio Ineunte a conclusione del
grande Giubileo, Giovanni Paolo II affermava: “Gli uomini del nostro tempo,
magari non sempre consapevolmente, chiedono ai credenti di oggi non solo di parlare
di Cristo, ma in un certo senso di farlo loro vedere” (NMI, 16). In questa
prospettiva egli additava, come prioritaria e decisiva, la testimonianza delle
famiglie cristiane esemplari. “Ogni famiglia è una luce! (…) Nella Chiesa e
nella società questa è l’ora della famiglia. Essa è chiamata a un ruolo di
primo piano nell’opera della nuova evangelizzazione” (Discorso all’Incontro
Mondiale delle Famiglie, 8.10.1994, n. 6). “Chiesa santa di Dio, tu non puoi
compiere la tua missione nel mondo, se non attraverso la famiglia e la sua
missione!” (Discorso alle famiglie neocatecumenali, 30.12.1988).
6. La famiglia cristiana
evangelizzata ed evangelizzante
La Chiesa ha la missione
di evangelizzare con la vita e la parola. Gesù Cristo l’ha voluta come luce del
mondo, città sul monte, luce sul candelabro, sale della terra (cfr. Mt
5,13-14), suo corpo (cfr. 1Cor 12,27), cioè sua espressione visibile, suo
sacramento, per continuare a manifestare la sua presenza nella storia,
comunicare a tutti il suo amore, attrarre a sè gli uomini e prepararli alla
salvezza eterna. La sacramentalità della Chiesa comprende sia la santità
oggettiva dei beni salvifici (Vangelo, sacramenti, eucaristia, ministeri,
carismi) sia la santità soggettiva dei credenti, nella misura in cui questi
accolgono l’amore di Cristo, lo vivono, lo portano e lo manifestano agli altri.
Cooperando con la grazia dello Spirito Santo, la Chiesa consente a Cristo di
agire in lei e attraverso di lei nel mondo. Non solo lo annuncia, ma in qualche
modo lo fa anche vedere, poiché essa evangelizza con quello che è e vive, non
solo con quello che fa e dice.
Dentro il sacramento
generale della salvezza, che è la Chiesa, la famiglia cristiana è sacramento
particolare della comunione con Dio e tra gli uomini.
Secondo l’insegnamento di
Giovanni Paolo II, la famiglia, già come realtà semplicemente naturale, trova
la sua sorgente e il suo modello nella Trinità divina. “L’immagine divina si
realizza non soltanto nell’individuo, ma anche in quella singolare comunione di
persone che è formata da un uomo e da una donna, uniti a tal punto nell’amore
da diventare una sola carne. E’ scritto infatti: a immagine di Dio li creò;
maschio e femmina li creò (Gen 1, 27)” (Messaggio per la giornata della pace
1994, n. 1). “Il noi divino costituisce il modello eterno del noi umano; di
quel noi innanzitutto che è formato dall’uomo e dalla donna, creati a immagine
e somiglianza di Dio” (Giovanni Paolo II, Gravissimam Sane, 6). Dunque ogni
comunione di persone fondata sull’amore è in qualche modo un riflesso di Dio
amore, uno e trino. Ma la famiglia lo è in modo specifico, tanto da meritare la
qualifica di sacramento primordiale della creazione. Fin dall’inizio della
storia “si costituisce un primordiale sacramento, inteso quale segno che trasmette
efficacemente nel mondo visibile il mistero invisibile nascosto in Dio
dall’eternità. E’ questo il mistero della Verità e dell’Amore, il mistero della
vita divina, alla quale l’uomo partecipa realmente” (Catechesi
20.02.1980, n. 3).
Il matrimonio, già realtà
sacramentale in virtù della stessa creazione, è stato elevato da Gesù Cristo a
sacramento della nuova ed eterna alleanza (cfr. Giovanni Paolo II, FC 19),
“rappresentazione reale (…) del suo stesso rapporto con la Chiesa” (FC 13). Il
Signore Gesù, sposo della Chiesa, comunica ai coniugi il suo Spirito, il suo
amore per la Chiesa, maturato fino al sacrificio supremo della croce (cfr. FC
19), in modo che il loro amore reciproco sia alimentato dal suo stesso amore
sponsale, sia elevato a carità coniugale e prefiguri le nozze eterne dell’amore
e della gioia, quando Dio sarà “tutto in tutti” (1Cor 15, 28). Nella famiglia
cristiana il sacramento della nuova alleanza porta a compimento il sacramento
primordiale della creazione; perfeziona la partecipazione e la manifestazione
della comunione trinitaria.
La famiglia cristiana
“piccola Chiesa” (o chiesa domestica) non è un modo di dire, una metafora, per
suggerire una vaga somiglianza. Si tratta, invece di una attuazione della
Chiesa, specifica e reale; di una comunità salvata e salvante, evangelizzata ed
evangelizzante come la Chiesa. Ascoltiamo ancora Giovanni Paolo II “(I coniugi)
non solo ricevono l’amore di Cristo, diventando comunità salvata, ma sono anche
chiamati a trasmettere ai fratelli il medesimo amore di Cristo, diventando
comunità salvante” (FC 49). Perciò la famiglia cristiana partecipa alla
sacramentalità della chiesa, è anch’essa sacramento della presenza di Cristo.
Come la Chiesa, evangelizza innanzitutto con quello che è e poi con quello che
fa e dice; prende parte alla missione evangelizzatrice impegnando “se stessa
nel suo essere e agire, in quanto intima comunità di vita e di amore” (FC 50). Il suo essere in Cristo comunità di vita
e di amore si ripercuote in tutto il suo agire: prestazione di aiuto reciproco,
procreazione generosa e responsabile, educazione dei figli, contributo alla
coesione e allo sviluppo della società, impegno civile, servizio caritativo,
impegno di apostolato e partecipazione alle attività ecclesiali (cfr. FC 17).
La famiglia cristiana è
stata da sempre la prima via di trasmissione della fede e anche oggi ha grandi
possibilità di evangelizzazione. Può evangelizzare nella propria casa con
l’amore reciproco, la preghiera, l’ascolto della Parola di Dio, la catechesi
familiare, l’edificazione scambievole. Può evangelizzare nel suo ambiente
mediante le relazioni con i vicini, i parenti, gli amici, i colleghi di lavoro,
la scuola, i compagni di sport e divertimento. Può evangelizzare in parrocchia
mediante la fedele partecipazione alla Messa domenicale, la collaborazione al
cammino catechistico dei figli, la partecipazione a incontri di famiglie,
movimenti e associazioni, la vicinanza alle famiglie in difficoltà,
l’animazione di itinerari di preparazione al matrimonio. Può evangelizzare
nella società civile dandole nuovi cittadini, incrementando le virtù sociali,
aiutando le persone bisognose, aderendo alle associazioni familiari per
promuovere una cultura e una politica più favorevole alle famiglie e ai loro
diritti (cfr. FC 44).
Per evangelizzare non
basta essere battezzati; non basta neppure essere praticanti della domenica, se
non si ha uno stile di vita coerente col Vangelo. Occorre una robusta
spiritualità. “Le sfide e le speranze che sta vivendo la famiglia cristiana –
dice Giovanni Paolo II – esigono che un numero sempre maggiore di famiglie
scopra e metta in pratica una solida spiritualità familiare nella trama
quotidiana della propria esistenza” (Discorso, 12.10.1988). La solida
spiritualità, di cui parla il Papa, va intesa come rapporto vivo con Cristo
vivo e presente, in virtù dello Spirito; rapporto coltivato con l’ascolto della
Parola, la partecipazione all’Eucaristia, la frequenza al sacramento della
penitenza; rapporto vissuto concretamente nelle relazioni e attività quotidiane,
sia all’interno che all’esterno della famiglia, in atteggiamento permanente di
conversione; rapporto da cui attingere un di più di amore e unità, generosità e
coraggio, sacrificio e perdono, gioia e bellezza.
Per avere famiglie di
“solida spiritualità”, evangelizzate ed evangelizzanti, occorre una seria
preparazione al matrimonio, come cammino teorico e pratico di sequela del
Signore Gesù e di conversione. “La preparazione al matrimonio – dice Giovanni
Paolo II – va vista e attuata come un processo graduale e continuo. Essa,
infatti, comporta tre principali momenti: una preparazione remota, una prossima
e una immediata” (FC 66), rispettivamente destinate a bambini e adolescenti, ai
fidanzati, ai prossimi sposi. Inoltre Giovanni Paolo II auspica che la
preparazione prossima, quella dei fidanzati, tenda sempre più a diventare “un
itinerario di fede” (FC 51) simile a “un cammino catecumenale” (FC 66). Questa
indicazione merita di essere presa in seria considerazione, cercando di offrire
almeno opportunità differenziate, corsi brevi o itinerari prolungati, secondo
il bisogno e la disponibilità delle coppie. Si potranno così avere famiglie più
stabili (la appropriata preparazione al matrimonio abbassa del 30% le
probabilità di divorzio), famiglie capaci di testimoniare la fede, di svolgere
servizi a favore di altre famiglie, di animare le attività catechistiche,
caritative, culturali, sociali.
Una seria preparazione al
matrimonio è necessaria, ma non è sufficiente. Giovanni Paolo II raccomandava
anche l’accompagnamento delle coppie dopo il matrimonio, “la cura pastorale
della famiglia regolarmente costituita” (FC 69). Anche questa indicazione deve
entrare sempre più nella pastorale ordinaria delle comunità ecclesiali mediante
una varietà di iniziative: proposta della preghiera in famiglia con sussidi
adatti per ascoltare insieme e vivere la Parola di Dio; incontri periodici tra
famiglie per costruire una rete di amicizia e solidarietà, umanamente e
spiritualmente significativa; piccole comunità familiari di evangelizzazione;
coinvolgimento sistematico delle famiglie nel percorso di iniziazione cristiana
dei figli dal battesimo, alla cresima, alla comunione eucaristica; promozione
delle associazioni, dei movimenti e delle nuove comunità ecclesiali, realtà preziose
per la formazione spirituale, l’apostolato e la stessa pastorale ordinaria;
sostegno alle associazioni familiari di impegno civile (cfr. FC 22).
7. Conclusione
Nella misura in cui sono
adulti nella fede, i cristiani condividono l’amore salvifico di Cristo per
tutti gli uomini e per tutto ciò che è autenticamente umano e lo esprimono
mediante la preghiera, il sacrificio, la testimonianza, l’annuncio del Vangelo,
l’animazione delle realtà terrene. In quanto cooperatori del Salvatore, possono
in vario modo raggiungere e disporre della salvezza anche quelli che sulla
terra non arrivano alla piena adesione a Cristo e rimangono fuori dei confini
visibili della Chiesa. Valorizzate da lui come sacramento, cioè suo segno e
strumento, le comunità ecclesiali e le famiglie cristiane possono avere
un’efficacia molto più ampia di quanto sia empiricamente verificabile. La
prospettiva sacramentale implica l’evangelizzazione intesa come irradiazione e
consente di mantenere ferma la fiducia nonostante le difficoltà e gli apparenti
insuccessi. “La notte è buia – ha detto Paolo VI – ma non bisogna aver paura
della notte, finché ci sono fuochi accesi che illuminano e riscaldano”.
INTERVENTO DELLA SANTA
SEDE
ALLA 35ª SESSIONE DELLA CONFERENZA GENERALE
DELL'UNESCO
IN OCCASIONE DELLA TAVOLA ROTONDA MINISTERIALE
SUL TEMA "L'EDUCAZIONE DEVE MIRARE
ALL'UNITÀ
DELLA FAMIGLIA UMANA E AL SUO SVILUPPO NEL
BENE"
DISCORSO DI S.E. MONS.
ANGELO VINCENZO ZANI
SOTTO-SEGRETARIO DELLA CONGREGAZIONE
PER L'EDUCAZIONE CATTOLICA
Parigi
Venerdì, 9 ottobre 2009
Signor Presidente,
la Santa Sede dà grande
importanza all'educazione e segue con particolare interesse le questioni
educative. Essa condivide gli sforzi della comunità internazionale, affinché
l'educazione sia per tutti di qualità e divenga un motore di sviluppo per
l'intera famiglia umana. L'educazione contribuisce così alla pace, alla
concordia fra i popoli e alla crescita di ogni persona.
L'educazione svolge un ruolo fondamentale in
numerosi ambiti; alcuni di essi sono stati oggetto di ampie riflessioni durante
le recenti Conferenze internazionali promosse dall'UNESCO.
L'inclusione
nell'educazione, di cui si è parlato nella 48ª Conferenza internazionale
sull'educazione (Ginevra, 25-28 novembre 2008), resta una sfida e un obiettivo
da raggiungere. La Santa Sede sa che è urgente favorire il maggior accesso
possibile all'educazione, ma anche un'inclusione più significativa, per una
vera solidarietà. Papa Benedetto XVI ha ricordato di recente che "una solidarietà
più ampia a livello internazionale si esprime innanzitutto nel continuare a
promuovere, anche in condizioni di crisi economica, un maggior accesso
all'educazione, la quale, d'altro canto, è condizione essenziale per
l'efficacia della stessa cooperazione internazionale" (Caritas in
veritate, n. 61). Di fatto, la problematica dell'inclusione non si limita
all'ambito dell'educazione, ma riguarda anche e prima di tutto i diritti
dell'uomo e gli orientamenti della politica generale di un paese. Nondimeno,
l'educazione e la scuola, ma anche la formazione permanente, sono strumenti
efficaci per uscire dall'esclusione.
Un'efficace educazione
dell'inclusione esige una pluralità di strutture e di attori educativi, come
pure una collaborazione attiva fra le famiglie, gli insegnanti, i professori e
gli educatori, i giovani stessi, le organizzazioni non governative, le Chiese,
le comunità religiose e altre persone che, a diversi livelli, contribuiscono al
processo di formazione. Questa sinergia è un'applicazione del principio
fondamentale della sussidiarietà.
La Santa Sede, da parte
sua, desidera contribuire al dialogo interculturale e multireligioso,
attraverso le sue istituzioni scolastiche e universitarie. Queste ultime
offrono una formazione non solo professionale ma anche integrale della persona.
Di fatto, la Santa Sede è ben consapevole delle crescenti possibilità insite
nell'incontro fra le culture, "dando spazio a nuove prospettive di dialogo
interculturale, un dialogo che, per essere efficace, deve avere come punto di
partenza l'intima consapevolezza della specifica identità dei vari
interlocutori" (Benedetto XVI, Caritas in veritate, n. 26). Di fatto, i
progetti educativi che s'impegnano a includere la prospettiva interculturale
possono incorrere in due rischi: quello dell'eclettismo culturale, escludendo
così la dimensione critica, o, all'opposto, quello del livellamento delle
culture e del conformismo dei comportamenti e degli stili di vita. Se si vuole
evitare questi rischi, bisogna ricorrere a una disciplina propria di ogni
dialogo che garantisca l'incontro delle diverse identità culturali, in una
relazione reciproca giusta e rispettosa.
Se la dimensione religiosa
e spirituale è riconosciuta come costitutiva della natura dell'uomo, il dialogo
nella scuola può contribuire efficacemente a superare ogni forma di fanatismo e
di fondamentalismo. Tutte queste realtà sviano le risorse umane dall'impegno
per la pace e la costruzione di un paese. Consapevole di ciò, la Santa Sede
continuerà a offrire il proprio contributo attraverso le istituzioni educative
cattoliche. Si tratta di circa 200.000 istituti scolastici, frequentati da poco
meno di 45 milioni di studenti e con circa 3.500.000 insegnanti, e di circa
1.400 università cattoliche e 800 istituti ecclesiastici.
Il degrado e
l'inquinamento ambientali sono spesso l'espressione di una cultura che mina la
convivenza umana. Un'educazione sempre più attenta all'ambiente deve aiutare
l'uomo a correggere gli eccessi del consumismo. Occorre adottare stili di vita
in cui la ricerca della verità, della bellezza e della bontà determini le
opzioni personali e collettive e porti così al rispetto per la natura. In
effetti, "non si tratta soltanto di trovare tecniche che prevengono i
danni, anche se è importante trovare energie alternative e altro. Ma tutto
questo non sarà sufficiente se noi stessi non troveremo un nuovo stile di vita,
una disciplina fatta anche di rinunce, una disciplina del riconoscimento degli
altri, ai quali il creato appartiene tanto quanto a noi che più facilmente
possiamo disporne: una disciplina della responsabilità nei riguardi del futuro
degli altri e del nostro stesso futuro" (Benedetto XVI, Incontro con il clero della diocesi di
Bressanone, 6 agosto 2008). Per questo, il Papa nella sua ultima Enciclica
ricorda che: "servono uomini di pensiero capaci di riflessione profonda,
votati alla ricerca d'un umanesimo nuovo, che permetta all'uomo moderno di
ritrovare se stesso" (Caritas in veritate, n. 19).
L'educazione degli adulti
e la formazione permanente, tema del prossimo CONFINTEA VI, sono chiamate a
favorire da una parte la crescita personale e dall'altra il servizio alla
società e al bene comune. L'educazione degli adulti e la formazione
permanente s'impongono come un problema urgente a causa delle trasformazioni
socioculturali e dei mutamenti all'interno stesso del mondo professionale in
cui l'adulto deve essere il soggetto attivo e non la vittima degli eventi.
Non bisogna smettere di garantire l'equilibrio armonioso fra i diritti di ogni
persona, i suoi doveri nei confronti della sua comunità di appartenenza e la
sua responsabilità nelle scelte di vita (matrimonio, famiglia, educazione dei
figli).
Signor Presidente, in una società
globalizzata, l'educazione deve mirare all'unità della famiglia umana e al suo
sviluppo nel bene, al fine di favorire una cultura rispettosa delle persone e
delle comunità e aperta alla trascendenza. Una simile educazione può
servire concretamente il processo d'integrazione planetaria. L'urgenza di
educare alla cittadinanza attiva e responsabile (cfr Benedetto XVI, Caritas in
veritate, n. 42), si coniuga con lo sviluppo armonioso della personalità di
ogni uomo chiamato a vivere non solo con gli altri, ma anche per gli
altri.
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