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CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE LETTERA AI VESCOVI DELLA CHIESA CATTOLICA SU ALCUNI ASPETTI DELLA MEDITAZIONE CRISTIANA *(15 ottobre 1989)
I. INTRODUZIONE
1. In molti
cristiani del nostro tempo è vivo il desiderio di imparare a pregare in modo
autentico e approfondito, nonostante le non poche difficoltà che la cultura
moderna pone all'avvertita esigenza di silenzio, di raccoglimento e di
meditazione. L'interesse che forme di meditazione connesse a talune religioni
orientali e ai loro peculiari modi di preghiera in questi anni hanno
suscitato anche tra i cristiani è un segno non piccolo di tale bisogno di
raccoglimento spirituale e di profondo contatto col mistero divino. Di fronte
a questo fenomeno, tuttavia, da molte parti è sentita pure la necessità di
poter disporre di sicuri criteri di carattere dottrinale e pastorale che
consentano di educare alla preghiera, nelle sue molteplici manifestazioni,
restando nella luce della verità rivelatasi in Gesù, tramite la genuina
tradizione della Chiesa.
A tale
urgenza intende rispondere la presente Lettera, affinché nelle varie Chiese
particolari, la pluralità di forme, anche nuove, di preghiera non ne faccia
mai perdere di vista la precisa natura, personale e comunitaria. Queste
indicazioni sono rivolte anzitutto ai Vescovi perché le rendano oggetto di sollecitudine
pastorale verso le Chiese, loro affidate, così che tutto il popolo di Dio –
sacerdoti, religiosi e laici – sia richiamato a pregare, con rinnovato
vigore, il Padre mediante lo Spirito di Cristo nostro Signore.
2. Il
contatto sempre più frequente con altre religioni e con i loro differenti
stili e metodi di preghiera, ha condotto negli ultimi decenni molti fedeli a
interrogarsi sul valore che possono avere per i cristiani forme non cristiane
di meditazione. La questione riguarda soprattutto i metodi orientali (1). C'è
chi si rivolge oggi a tali metodi per motivi terapeutici: l'irrequietezza
spirituale di una vita sottoposta al ritmo assillante della società
tecnologicamente avanzata spinge anche un certo numero di cristiani a cercare
in essi la via della calma interiore e dell'equilibrio psichico. Questo
aspetto psicologico non sarà considerato nella presente Lettera, che intende
invece evidenziare le implicazioni teologiche e spirituali della questione.
Altri cristiani, sulla scia del movimento di apertura e di scambio con
religioni e culture diverse, sono del parere che la loro stessa preghiera
abbia molto da guadagnare da tali metodi. Rilevando che, in tempi recenti,
non pochi metodi tradizionali di meditazione, peculiari del cristianesimo,
sono caduti in disuso, costoro si chiedono: non sarebbe allora possibile,
attraverso una nuova educazione alla preghiera, arricchire la nostra eredità
incorporandovi anche ciò che le era finora estraneo?
3. Per
rispondere a questa domanda, occorre anzitutto considerare, sia pure a grandi
linee, in che cosa consista la natura intima della preghiera cristiana, per
vedere in seguito se e come possa essere arricchita da metodi di meditazione
nati nel contesto di religioni e culture diverse. È necessario a tale scopo formulare
una decisiva premessa. La preghiera cristiana è sempre determinata dalla
struttura della fede cristiana, nella quale risplende la verità stessa di Dio
e della creatura. Per questo essa si configura, propriamente parlando, come
un dialogo personale, intimo e profondo, tra l'uomo e Dio. Essa esprime
quindi la comunione delle creature redente con la vita intima delle Persone
trinitarie. In questa comunione, che si fonda sul battesimo e
sull'eucaristia, fonte e culmine della vita della Chiesa, è implicato un
atteggiamento di conversione, un esodo dall'io verso il Tu di Dio. La
preghiera cristiana quindi è sempre allo stesso tempo autenticamente
personale e comunitaria. Rifugge da tecniche impersonali o incentrate
sull'io, capaci di produrre automatismi nei quali l'orante resta prigioniero
di uno spiritualismo intimista, incapace di un'apertura libera al Dio
trascendente. Nella Chiesa la legittima ricerca di nuovi metodi di
meditazione dovrà sempre tener conto che a una preghiera autenticamente
cristiana è essenziale l'incontro di due libertà, quella infinita di Dio con
quella finita dell'uomo.
4. Come
debba pregare l'uomo che accoglie la rivelazione biblica lo insegna la Bibbia
stessa. Nell'Antico Testamento c'è una meravigliosa raccolta di preghiere,
rimasta viva lungo i secoli anche nella Chiesa di Gesù Cristo, nella quale
essa è diventata la base della preghiera ufficiale: il Libro delle Lodi o dei
Salmi (2). Preghiere del tipo dei salmi si trovano già in testi più antichi o
vengono riecheggiate in testi più recenti dell'Antico Testamento (3). Le
preghiere del Libro dei Salmi narrano anzitutto le grandi opere di Dio per il
popolo eletto. Israele medita, contempla e rende di nuovo presenti le meraviglie
di Dio, facendone memoria attraverso la preghiera.
Nella
rivelazione biblica Israele giunge a riconoscere e lodare Dio, presente in
tutta la creazione e nel destino di ogni uomo. Così Lo invoca, ad esempio,
come soccorritore nel pericolo, nella malattia, nella persecuzione, nella
tribolazione. Infine, sempre alla luce delle sue opere salvifiche, Egli viene
celebrato nella sua divina potenza e bontà, nella sua giustizia e
misericordia, nella sua regale grandezza.
5.
Grazie alle parole, alle opere, alla Passione e Risurrezione di Gesù Cristo,
nel Nuovo Testamento la fede riconosce in lui la definitiva auto-rivelazione
di Dio, la Parola incarnata che svela le profondità più intime del suo amore.
È lo Spirito Santo che fa penetrare in queste profondità di Dio, lui che,
inviato nel cuore dei credenti, "scruta ogni cosa, anche le profondità
di Dio" (1 Cor 2, 10). Lo Spirito, secondo la promessa di Gesù ai
discepoli, spiegherà tutto ciò che Egli non poteva ancora dire loro. Però lo
Spirito "non parlerà da sé, ... ma mi glorificherà perché prenderà del
mio e ve lo annunzierà" (Gv 16, 13s). Quello che Gesù chiama qui
"suo" è, come spiega in seguito, anche di Dio Padre, perché
"tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà
del mio e ve lo annunzierà" (Gv 16, 15).
Gli
autori del Nuovo Testamento, con piena consapevolezza, hanno sempre parlato
della rivelazione di Dio in Cristo all'interno di una visione illuminata
dallo Spirito Santo. I Vangeli sinottici narrano le opere e le parole di Gesù
Cristo in base alla comprensione più profonda, acquisita dopo la Pasqua, di
ciò che i discepoli avevano visto e udito; tutto il Vangelo di Giovanni
respira della contemplazione di colui che fin dall'inizio è il Verbo di Dio
fatto carne; Paolo, al quale Gesù è apparso sulla via di Damasco nella sua
maestà divina, tenta di educare i fedeli perché siano "in grado di
comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e
la profondità [del mistero di Cristo] e conoscere l'amore di Cristo che
sorpassa ogni conoscenza, per essere ricolmi di tutta la pienezza di
Dio" (Ef 3, 18s). Per Paolo il "mistero di Dio è Cristo, nel quale
sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza" (Col 2, 3)
e – precisa l'Apostolo –: "Dico questo perché nessuno vi inganni con
argomenti seducenti" (v. 4).
6.
Esiste quindi uno stretto rapporto fra la rivelazione e la preghiera. La
Costituzione dogmatica Dei Verbum ci insegna che mediante la sua
rivelazione Dio invisibile "nel suo immenso amore parla agli uomini come
ad amici (cfr. Es 33, 11; Gv 15, 14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar
3, 38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé" (4).
Questa
rivelazione si è attuata attraverso parole e opere che rinviano sempre,
reciprocamente, le une alle altre; fin dall'inizio e di continuo tutto
converge verso Cristo, pienezza della rivelazione e della grazia, e verso il
dono dello Spirito Santo. Questi rende l'uomo capace di accogliere e
contemplare le parole e le opere di Dio e di ringraziarlo e adorarlo,
nell'assemblea dei fedeli e nell'intimità del proprio cuore illuminato dalla
grazia.
Per
questo la Chiesa raccomanda sempre la lettura della Parola di Dio come
sorgente della preghiera cristiana, e allo stesso tempo esorta a scoprire il
senso profondo della Sacra Scrittura mediante la preghiera "affinché
possa svolgersi il colloquio tra Dio e l'uomo; poiché “gli parliamo quando
preghiamo e lo ascoltiamo quando leggiamo gli oracoli divini”" (5).
7. Da
quanto è stato ricordato derivano subito alcune conseguenze. Se la preghiera
del cristiano deve inserirsi nel movimento trinitario di Dio, il suo
contenuto essenziale dovrà necessariamente essere anche determinato dalla
duplice direzione di tale movimento: nello Spirito Santo il Figlio viene nel
mondo per riconciliarlo col Padre attraverso le sue opere e le sue
sofferenze; d'altra parte, nello stesso movimento e nel medesimo Spirito, il
Figlio incarnato ritorna al Padre, compiendo la sua volontà mediante la
Passione e la Risurrezione. Il "Padre nostro", la preghiera di
Gesù, indica chiaramente l'unità di questo movimento: la volontà del Padre
deve realizzarsi sulla terra come in cielo (le richieste di pane, di perdono,
di protezione esplicitano le dimensioni fondamentali della volontà di Dio
verso di noi) affinché una nuova terra viva e si sviluppi nella Gerusalemme
celeste.
È alla
Chiesa che la preghiera di Gesù viene consegnata ("così voi dovete
pregare", Mt 6, 9) (6) e per questo la preghiera cristiana, anche quando
avviene nella solitudine, in realtà è sempre all'interno di quella
"comunione dei santi" nella quale e con la quale si prega, tanto in
forma pubblica e liturgica quanto in forma privata. Pertanto, essa deve
compiersi sempre nello spirito autentico della Chiesa in preghiera e quindi sotto
la sua guida, che può concretizzarsi talvolta in una direzione spirituale
sperimentata. Il cristiano, anche quando è solo e prega nel segreto, ha la
consapevolezza di pregare sempre in unione con Cristo, nello Spirito Santo,
insieme con tutti i santi per il bene della Chiesa (7).
8. Già
nei primi secoli s'insinuarono nella Chiesa modi erronei di pregare, di cui
già alcuni testi del Nuovo Testamento (cfr. 1 Gv 4, 3; 1 Tm 1, 3-7 e 4, 3-4)
fanno riconoscere le tracce. In seguito si possono rilevare due deviazioni
fondamentali: la pseudognosi e il messalianismo, di cui si sono occupati i
Padri della Chiesa. Da quella primitiva esperienza cristiana e
dall'atteggiamento dei Padri si può imparare molto per affrontare la
problematica contemporanea.
Contro
la deviazione della pseudognosi (8) i Padri affermano che la materia è creata
da Dio e come tale non è cattiva. Inoltre sostengono che la grazia, la cui
sorgente è sempre lo Spirito Santo, non è un bene proprio dell'anima, ma
dev'essere impetrata da Dio come dono. Perciò l'illuminazione o conoscenza
superiore dello Spirito ("gnosi"), non rende superflua la fede
cristiana. Infine, per i Padri, il segno autentico di una conoscenza
superiore, frutto della preghiera, è sempre l'amore cristiano.
9. Se
la perfezione della preghiera cristiana non può essere valutata in base alla
sublimità della conoscenza gnostica, non può esserlo neppure in riferimento
all'esperienza del divino, alla maniera del messalianismo (9). I falsi
carismatici del IV secolo identificavano la grazia dello Spirito Santo con
l'esperienza psicologica della sua presenza nell'anima. Contro di essi i
Padri insistettero sul fatto che l'unione dell'anima orante con Dio si compie
nel mistero, in particolare attraverso i sacramenti della Chiesa. Essa può
inoltre realizzarsi perfino attraverso esperienze di afflizione e anche di
desolazione. Contrariamente all'opinione dei Messaliani, queste non sono
necessariamente un segno che lo Spirito ha abbandonato l'anima. Come hanno
sempre chiaramente riconosciuto i maestri spirituali, possono invece essere
un'autentica partecipazione allo stato di abbandono di nostro Signore sulla
croce, il quale resta sempre modello e mediatore della preghiera (10).
10.
Tutte e due queste forme di errore continuano ad essere una tentazione per
l'uomo peccatore. Lo istigano a cercare di superare la distanza che separa la
creatura dal Creatore, come qualcosa che non dovrebbe esserci; a considerare
il cammino di Cristo sulla terra, con il quale egli ci vuole condurre al Padre,
come realtà superata; ad abbassare ciò che viene accordato come pura grazia
al livello della psicologia naturale, come "conoscenza superiore" o
come "esperienza".
Riapparse
di tanto in tanto nella storia ai margini della preghiera della Chiesa, tali
forme erronee oggi sembrano impressionare nuovamente molti cristiani,
raccomandandosi loro come rimedio, sia psicologico che spirituale, e come
rapido procedimento per trovare Dio (11).
11. Ma
queste forme erronee, dovunque sorgano, possono essere diagnosticate in
maniera molto semplice. La meditazione cristiana orante cerca di cogliere
nelle opere salvifiche di Dio in Cristo, Verbo Incarnato, e nel dono del suo
Spirito la profondità divina, che vi si rivela sempre attraverso la
dimensione umano-terrena. Invece, in simili metodi di meditazione, anche
quando si prende lo spunto da parole e opere di Gesù, si cerca di prescindere
il più possibile da ciò che è terreno, sensibile e concettualmente limitato,
per salire o immergersi nella sfera del divino, che in quanto tale non è né
terrestre, né sensibile, né concettualizzabile (12). Questa tendenza,
presente già nella tarda religiosità greca (soprattutto nel
"neoplatonismo"), si riscontra, in fondo, nell'ispirazione
religiosa di molti popoli, non appena essi abbiano riconosciuto il carattere
precario delle loro rappresentazioni del divino e dei loro tentativi di
avvicinarvisi.
12. Con
l'attuale diffusione dei metodi orientali di meditazione nel mondo cristiano
e nelle comunità ecclesiali, ci troviamo di fronte ad un acuto rinnovarsi del
tentativo, non esente da rischi ed errori, di fondere la meditazione
cristiana con quella non cristiana. Le proposte in questo senso sono numerose
e più o meno radicali: alcune utilizzano metodi orientali solo ai fini di una
preparazione psicofisica per una contemplazione realmente cristiana; altre
vanno oltre e cercano di generare, con diverse tecniche, esperienze
spirituali analoghe a quelle di cui si parla in scritti di certi mistici
cattolici (13); altre ancora non temono di collocare quell'assoluto senza
immagini e concetti, proprio della teoria buddista (14), sullo stesso piano
della maestà di Dio, rivelata in Cristo, che si eleva al di sopra della
realtà finita e, a tal fine, si servono di una "teologia negativa"
che trascende ogni affermazione contenutistica su Dio, negando che le cose
del mondo possono essere una traccia che rinvia all'infinità di Dio. Per
questo propongono di abbandonare non solo la meditazione delle opere
salvifiche che il Dio dell'Antica e della Nuova Alleanza ha compiuto nella
storia, ma anche l'idea stessa del Dio uno e trino, che è amore, in favore di
un'immersione "nell'abisso indeterminato della divinità" (15).
Queste
proposte o altre analoghe di armonizzazione tra meditazione cristiana e
tecniche orientali dovranno essere continuamente vagliate con accurato
discernimento di contenuti e di metodo, per evitare la caduta in un
pernicioso sincretismo.
13. Per
trovare la giusta "via" della preghiera, il cristiano considererà
ciò che è stato precedentemente detto a proposito dei tratti salienti della
via di Cristo, il cui "cibo è fare la volontà di colui che (lo) ha
mandato a compiere la sua opera" (Gv 4, 34). Gesù non vive con il Padre
un'unione più intima e più stretta di questa, che per lui si traduce
continuamente in una profonda preghiera. La volontà del Padre lo invia agli
uomini, ai peccatori, addirittura ai suoi uccisori ed egli non può essere più
intimamente unito al Padre che ubbidendo a questa volontà. Ciò non impedisce
in alcun modo che nel cammino terreno egli si ritiri anche nella solitudine
per pregare, per unirsi al Padre e ricevere da Lui nuovo vigore per la sua
missione nel mondo. Sul Tabor, dove certamente egli è unito al Padre in
maniera manifesta, viene evocata la sua Passione (cfr. Lc 9, 31) e non viene
neppure presa in considerazione la possibilità di permanere in "tre
tende" sul monte della trasfigurazione. Ogni preghiera contemplativa
cristiana rinvia continuamente all'amore del prossimo, all'azione e alla
passione, e proprio così avvicina maggiormente a Dio.
14. Per
accostarsi a quel mistero dell'unione con Dio, che i Padri greci chiamavano
divinizzazione dell'uomo, e per cogliere con precisione le modalità secondo
cui essa si compie, occorre tener presente anzitutto che l'uomo è
essenzialmente creatura (16) e tale rimane in eterno, cosicché non sarà mai
possibile un assorbimento dell'io umano nell'io divino, neanche nei più alti
stati di grazia. Si deve però riconoscere che la persona umana è creata
"ad immagine e somiglianza" di Dio, e l'archetipo di questa
immagine è il Figlio di Dio, nel quale e per il quale siamo stati creati
(cfr. Col 1, 16). Ora questo archetipo ci svela il più grande e il più bel
mistero cristiano: il Figlio è dall'eternità "altro" rispetto al
Padre e tuttavia, nello Spirito Santo, è "della stessa sostanza";
di conseguenza, il fatto che ci sia un'alterità, non è un male, ma piuttosto
il massimo dei beni. C'è alterità in Dio stesso, che è una sola natura in Tre
Persone, e c'è alterità tra Dio e la creatura, che sono per natura
differenti. Infine, nella santa eucaristia, come anche negli altri sacramenti
– e analogamente nelle sue opere e nelle sue parole – Cristo ci dona se
stesso e ci rende partecipi della sua natura divina (17), senza per altro
sopprimere la nostra natura creata, alla quale egli stesso partecipa con la
sua incarnazione.
15. Se
si considerano insieme queste verità, si scopre, con profonda meraviglia, che
nella realtà cristiana vengono adempiute, oltre ogni misura, tutte le
aspirazioni presenti nella preghiera delle altre religioni, senza che con
questo l'io personale e la sua creaturalità debbano essere annullati e
scomparire nel mare dell'Assoluto. "Dio è amore" (1 Gv 4, 8):
questa affermazione profondamente cristiana può conciliare l'unione perfetta
con l'alterità tra amante e amato, con l'eterno scambio e l'eterno dialogo.
Dio stesso è questo eterno scambio, e noi possiamo in piena verità diventare
partecipi di Cristo, quali "figli adottivi", e gridare con il Figlio
nello Spirito Santo "Abba, Padre". In questo senso, i Padri hanno
pienamente ragione di parlare di divinizzazione dell'uomo che, incorporato a
Cristo Figlio di Dio per natura, diventa per la sua grazia partecipe della
natura divina, "figlio nel Figlio". Il cristiano, ricevendo lo
Spirito Santo, glorifica il Padre e partecipa realmente alla vita trinitaria
di Dio.
16. La
maggior parte delle grandi religioni che hanno cercato l'unione con Dio nella
preghiera, hanno anche indicato le vie per conseguirla. Siccome "la
Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste
religioni" (18), non si dovranno disprezzare pregiudizialmente queste
indicazioni in quanto non cristiane. Si potrà al contrario cogliere da esse
ciò che vi è di utile, a condizione di non perdere mai di vista la concezione
cristiana della preghiera, la sua logica e le sue esigenze, poiché è
all'interno di questa totalità che quei frammenti dovranno essere riformulati
ed assunti. Tra di essi si può annoverare anzitutto l'umile accettazione di
un maestro esperto nella vita di preghiera e delle sue direttive; di ciò si è
sempre avuto consapevolezza nell'esperienza cristiana sin dai tempi antichi,
dall'epoca dei Padri del deserto. Questo maestro, esperto nel "sentire
cum Ecclesia", deve non solo guidare e richiamare l'attenzione su certi
pericoli, ma, quale "padre spirituale", deve anche introdurre in
maniera viva, da cuore a cuore, nella vita di preghiera, che è dono dello
Spirito Santo.
17. La
tarda classicità non cristiana distingueva volentieri tre stadi nella vita di
perfezione: la via della purificazione, dell'illuminazione e dell'unione.
Questa dottrina è servita da modello per molte scuole di spiritualità
cristiana. Questo schema, in se stesso valido, necessita tuttavia di alcune
precisazioni, che ne permettano una corretta interpretazione cristiana,
evitando pericolosi fraintendimenti.
18. La
ricerca di Dio mediante la preghiera deve essere preceduta ed accompagnata
dall’ascesi e dalla purificazione dai propri peccati ed errori, perché
secondo la parola di Gesù soltanto "i puri di cuore vedranno Dio"
(Mt 5, 8). Il Vangelo mira soprattutto a una purificazione morale dalla
mancanza di verità e di amore e, su un piano più profondo, da tutti gli istinti
egoistici che impediscono all'uomo di riconoscere ed accettare la volontà di
Dio nella sua purezza. Non sono le passioni in quanto tali ad essere negative
(come pensavano gli stoici e i neoplatonici) ma la loro tendenza egoistica. È
da essa che il cristiano deve liberarsi: per arrivare a quello stato di
libertà positiva che la classicità cristiana chiamava "apatheia",
il Medio Evo "impassibilitas" e gli Esercizi spirituali ignaziani
"indiferencia" (19). Ciò è impossibile senza una radicale
abnegazione, come si vede anche in S. Paolo che usa apertamente la parola
"mortificazione" (delle tendenze peccaminose) (20). Solo questa
abnegazione rende l'uomo libero di realizzare la volontà di Dio e di
partecipare alla libertà dello Spirito Santo.
19.
Dovrà perciò essere interpretata rettamente la dottrina di quei maestri che
raccomandano di "svuotare" lo spirito da ogni rappresentazione
sensibile e da ogni concetto, mantenendo però un'amorosa attenzione a Dio,
così che rimanga nell'orante un vuoto che può allora essere riempito dalla
ricchezza divina. Il vuoto di cui Dio ha bisogno è quello della rinuncia al
proprio egoismo, non necessariamente quello della rinuncia alle cose create
che egli ci ha donato e tra le quali ci ha posti. Non vi è dubbio che nella
preghiera ci si deve concentrare interamente su Dio ed escludere il più
possibile quelle cose di questo mondo che ci incatenano al nostro egoismo. S.
Agostino è su questo punto un maestro insigne: se vuoi trovare Dio, dice,
abbandona il mondo esteriore e rientra in te stesso. Tuttavia, prosegue, non
rimanere in te stesso, ma oltrepassa te stesso, perché tu non sei Dio: Egli è
più profondo e più grande di te. "Cerco la sua sostanza nella mia anima
e non la trovo; ho meditato tuttavia sulla ricerca di Dio e, proteso verso di
lui, attraverso le cose create, ho cercato di conoscere le “perfezioni
invisibili di Dio” (Rm 1, 20)" (21). "Restare in se stessi":
ecco il vero pericolo. Il grande Dottore della Chiesa raccomanda di
concentrarsi in se stessi, ma anche di trascendere l'io che non è Dio, ma
solo una creatura. Dio è "interior intimo meo, et superior summo
meo" (22). Dio infatti è in noi e con noi, ma ci trascende nel suo
mistero (23).
20. Dal
punto di vista dogmatico, è impossibile arrivare all'amore perfetto di Dio se
si prescinde dalla sua autodonazione nel Figlio incarnato, crocifisso e
risuscitato. In Lui, sotto l'azione dello Spirito Santo, prendiamo parte, per
pura grazia, alla vita intradivina. Quando Gesù dice: "Chi ha visto me
ha visto il Padre" (Gv 14, 9), non intende semplicemente la visione e la
conoscenza esteriori della sua figura umana ("la carne non giova a
nulla", Gv 6, 63). Ciò che intende è piuttosto un "vedere"
reso possibile dalla grazia della fede: vedere attraverso la manifestazione
sensibile di Gesù ciò che questi, quale Verbo del Padre, vuole veramente
mostrarci di Dio ("È lo Spirito che dà la vita […]; le parole che vi ho
dette sono spirito e vita", ibid.). In questo "vedere" non si
tratta dell'astrazione puramente umana ("abs-tractio") dalla figura
in cui Dio si è rivelato, ma del cogliere la realtà divina nella figura umana
di Gesù, del cogliere la sua dimensione divina ed eterna nella sua
temporalità. Come dice S. Ignazio negli Esercizi spirituali, dovremmo
tentare di cogliere "il profumo infinito e la dolcezza infinita della
divinità" (n. 124), partendo dalla finita verità rivelata dalla quale
abbiamo iniziato. Mentre ci eleva, Dio è libero di "svuotarci" di
tutto ciò che ci trattiene in questo mondo, di attirarci completamente nella
vita trinitaria del suo amore eterno. Tuttavia, questo dono può essere
concesso solo "in Cristo attraverso lo Spirito Santo" e non
attraverso le proprie forze, astraendo dalla sua rivelazione.
21. Nel
cammino della vita cristiana alla purificazione segue l'illuminazione mediante
l'amore che il Padre ci dona nel Figlio e l'unzione che da Lui riceviamo
nello Spirito Santo (cfr. 1 Gv 2, 20). Fin dall'antichità cristiana si fa
riferimento alla "illuminazione" ricevuta nel battesimo. Essa
introduce i fedeli, iniziati ai divini misteri, alla conoscenza di Cristo
mediante la fede che opera per mezzo della carità. Anzi, alcuni scrittori
ecclesiastici parlano in modo esplicito dell'illuminazione ricevuta nel
battesimo come fondamento di quella sublime conoscenza di Cristo Gesù (cfr.
Fil 3, 8) che viene definita come "theoria" o contemplazione (24).
I
fedeli, con la grazia del battesimo, sono chiamati a progredire nella
conoscenza e nella testimonianza dei misteri della fede mediante "la
profonda intelligenza che essi esperiscono delle cose spirituali" (25).
Nessuna luce di Dio rende superate le verità della fede. Le eventuali grazie
di illuminazione che Dio può concedere aiutano piuttosto a chiarir meglio la
dimensione più profonda dei misteri confessati e celebrati dalla Chiesa, in attesa
che il cristiano possa contemplare Dio come Egli è nella gloria (cfr. 1 Gv 3,
2).
22. Il
cristiano orante, infine, può arrivare, se Dio lo vuole, ad un'esperienza
particolare di unione. I sacramenti, soprattutto il battesimo e l'eucaristia
(26), sono l'inizio obiettivo dell'unione del cristiano con Dio. Su questo
fondamento, per una speciale grazia dello Spirito, l'orante può essere
chiamato a quel tipo peculiare di unione con Dio che, nell'ambito cristiano,
viene qualificato come mistica.
23.
Certamente il cristiano ha bisogno di determinati tempi di ritiro nella
solitudine per raccogliersi e ritrovare, presso Dio, il suo cammino. Ma dato
il suo carattere di creatura, e di creatura che sa di essere al sicuro solo
nella grazia, il suo modo di avvicinarsi a Dio non si fonda su alcuna tecnica
nel senso stretto della parola. Ciò contraddirebbe lo spirito d'infanzia
richiesto dal Vangelo. La mistica cristiana autentica non ha niente a che
vedere con la tecnica: è sempre un dono di Dio, di cui chi ne beneficia si
sente indegno (27).
24. Ci
sono determinate grazie mistiche, conferite ad esempio ai fondatori di
istituzioni ecclesiali in favore di tutta la loro fondazione nonché ad altri
santi, che caratterizzano la loro peculiare esperienza di preghiera e che non
possono, come tali, essere oggetto di imitazione e di aspirazione per altri
fedeli, anche appartenenti alla stessa istituzione, e desiderosi di una
preghiera sempre più perfetta (28). Possono esserci diversi livelli e diverse
modalità di partecipazione all'esperienza di preghiera di un fondatore, senza
che a tutti debba venir conferita la medesima forma. Del resto l'esperienza
di preghiera che ha un posto privilegiato in tutte le istituzioni
autenticamente ecclesiali antiche e moderne, è sempre in ultima analisi
qualcosa di personale. Ed è alla persona che Dio dona le sue grazie in vista
della preghiera.
25. A proposito
della mistica si deve distinguere tra i doni dello Spirito Santo e i carismi
accordati in modo totalmente libero da Dio. I primi sono qualcosa che ogni
cristiano può ravvivare in sé attraverso una vita zelante di fede, di
speranza e di carità e così, attraverso una seria ascesi, arrivare ad una
certa esperienza di Dio e dei contenuti della fede. Quanto ai carismi, S.
Paolo dice che essi sono soprattutto in favore della Chiesa, degli altri
membri del Corpo mistico di Cristo (cfr. 1 Cor 12, 7). A questo proposito, va
ricordato sia che i carismi non possono essere identificati con dei doni
straordinari ("mistici") (cfr. Rm 12, 3-21), sia che la distinzione
fra i "doni dello Spirito Santo" e i "carismi" può essere
fluida. Certo è che un carisma fecondo per la Chiesa non può, nell'ambito
neotestamentario, venir esercitato senza un determinato grado di perfezione
personale e che, d'altra parte, ogni cristiano "vivo" possiede un
compito peculiare (e in questo senso un "carisma") "per
l'edificazione del Corpo di Cristo" (cfr. Ef 4, 15-16) (29), in
comunione con la Gerarchia, alla quale "spetta soprattutto di non estinguere
lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono" (Lumen gentium, n. 12).
26. L'esperienza
umana dimostra che la posizione e l'atteggiamento del corpo non sono privi
d'influenza sul raccoglimento e la disposizione dello spirito. È un dato al
quale alcuni scrittori spirituali dell'Oriente e dell'Occidente cristiano
hanno prestato attenzione.
Le loro
riflessioni, pur presentando punti in comune con i metodi orientali non
cristiani di meditazione, evitano quelle esagerazioni o unilateralità che,
invece, spesso vengono oggi proposte a persone non sufficientemente
preparate.
Questi
autori spirituali hanno adottato quegli elementi che facilitano il
raccoglimento nella preghiera, riconoscendone al contempo anche il valore
relativo: essi sono utili se riformulati in vista del fine della preghiera
cristiana (30). Ad esempio, il digiuno nel cristianesimo possiede anzitutto
il significato di un esercizio di penitenza e di sacrificio, ma già presso i
Padri, era anche finalizzato a rendere l'uomo più disponibile all'incontro
con Dio ed il cristiano più capace di dominio di sé e allo stesso tempo più
attento ai fratelli bisognosi.
Nella
preghiera è tutto l'uomo che deve entrare in relazione con Dio, e dunque
anche il suo corpo deve assumere la posizione più adatta per il raccoglimento
(31). Tale posizione può esprimere in modo simbolico la preghiera stessa,
variando a seconda delle culture e della sensibilità personale. In alcune
aree, i cristiani, oggi, stanno acquisendo maggior consapevolezza di quanto
l'atteggiamento del corpo possa favorire la preghiera.
27. La
meditazione cristiana dell'Oriente (32) ha valorizzato il simbolismo
psicofisico, spesso carente nella preghiera dell'Occidente. Esso può partire
da un determinato atteggiamento corporeo, fino a coinvolgere anche le
funzioni vitali fondamentali, come la respirazione e il battito cardiaco.
L'esercizio della "preghiera di Gesù", ad esempio, che si adatta al
ritmo respiratorio naturale, può – almeno per un certo tempo – essere di
reale aiuto per molti (33). D'altra parte gli stessi maestri orientali hanno
anche costatato che non tutti sono ugualmente idonei a far uso di questo
simbolismo, perché non tutti sono in grado di passare dal segno materiale
alla realtà spirituale ricercata. Compreso in modo inadeguato e non corretto,
il simbolismo può diventare addirittura un idolo e di conseguenza un
impedimento all'elevazione dello spirito a Dio. Vivere nell'ambito della
preghiera tutta la realtà del proprio corpo come simbolo è ancora più
difficile: ciò può degenerare in un culto del corpo e può portare ad
identificare surrettiziamente tutte le sue sensazioni con esperienze spirituali.
28.
Alcuni esercizi fisici producono automaticamente sensazioni di quiete e di
distensione, sentimenti gratificanti, forse addirittura fenomeni di luce e di
calore che assomigliano ad un benessere spirituale. Scambiarli per autentiche
consolazioni dello Spirito Santo sarebbe un modo totalmente erroneo di
concepire il cammino spirituale. Attribuire loro significati simbolici tipici
dell'esperienza mistica, quando l'atteggiamento morale dell'interessato non
corrisponde ad essa, rappresenterebbe una specie di schizofrenia mentale, che
può condurre perfino a disturbi psichici e, talvolta, ad aberrazioni morali.
Ciò non
toglie che autentiche pratiche di meditazione provenienti dall'Oriente
cristiano e dalle grandi religioni non cristiane, che esercitano un'attrattiva
sull'uomo di oggi diviso e disorientato, possano costituire un mezzo adatto
per aiutare l'orante a stare davanti a Dio interiormente disteso, anche in
mezzo alle sollecitazioni esterne.
Occorre
tuttavia ricordare che l'unione abituale con Dio, o quell'atteggiamento di
vigilanza interiore e di invocazione dell'aiuto divino che nel Nuovo
Testamento viene chiamato la "preghiera continua" (34), non si
interrompe necessariamente quando ci si dedica anche, secondo la volontà di
Dio, al lavoro e alla cura del prossimo. "Sia dunque che mangiate, sia
che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria
di Dio", ci dice l'Apostolo (1 Cor 10, 31). La preghiera autentica
infatti, come sostengono i grandi maestri spirituali, desta negli oranti
un'ardente carità che li spinge a collaborare alla missione della Chiesa e al
servizio dei fratelli per la maggior gloria di Dio (35).
29.
Ogni fedele dovrà cercare e potrà trovare nella varietà e ricchezza della
preghiera cristiana, insegnata dalla Chiesa, la propria via, il proprio modo
di preghiera; ma tutte queste vie personali confluiscono, alla fine, in
quella via al Padre, che Gesù Cristo ha detto di essere. Nella ricerca della
propria via ognuno si lascerà quindi condurre non tanto dai suoi gusti
personali quanto dallo Spirito Santo, il quale lo guida, attraverso Cristo,
al Padre.
30. Per
chi si impegna seriamente verranno comunque tempi in cui gli sembrerà di
vagare in un deserto e di non "sentire" nulla di Dio, malgrado
tutti i suoi sforzi. Deve sapere che queste prove non vengono risparmiate a
nessuno che prenda sul serio la preghiera. Ma egli non deve identificare
immediatamente questa esperienza, comune a tutti i cristiani che pregano, con
la "notte oscura" di tipo mistico. Ad ogni modo in quei periodi la
preghiera, che egli si sforzerà di mantenere fermamente, potrà dargli
l'impressione di una certa "artificiosità" benché si tratti in
realtà di qualcosa di totalmente diverso: essa è infatti proprio allora
espressione della sua fedeltà a Dio, alla presenza del quale egli vuole
rimanere anche quando non è ricompensato da alcuna consolazione soggettiva.
In
questi momenti apparentemente negativi diventa manifesto ciò che l'orante
cerca realmente: se cerca proprio Dio che, nella sua infinita libertà, sempre
lo supera, oppure se cerca solo se stesso, senza riuscire ad andare oltre le
proprie "esperienze", sia che gli sembrino "esperienze"
positive di unione con Dio che "esperienze" negative di
"vuoto" mistico.
31. L'amore di Dio,
unico oggetto della contemplazione cristiana, è una realtà della quale non ci
si può "impossessare" con nessun metodo o tecnica; anzi, dobbiamo
aver sempre lo sguardo fisso in Gesù Cristo, nel quale l'amore divino è
giunto per noi sulla croce a tal punto che Egli si è assunto anche la
condizione di allontanamento dal Padre (cfr. Mc 15, 34). Dobbiamo dunque
lasciar decidere a Dio la maniera con cui egli vuole farci partecipi del suo
amore. Ma non possiamo mai, in alcun modo, cercare di metterci allo stesso
livello dell'oggetto contemplato, l'amore libero di Dio; neanche quando, per
la misericordia di Dio Padre, mediante lo Spirito Santo mandato nei nostri
cuori, ci viene donato in Cristo, gratuitamente, un riflesso sensibile di
questo amore divino e ci sentiamo come attirati dalla verità, dalla bontà e
dalla bellezza del Signore.
Quanto
più viene concesso a una creatura di avvicinarsi a Dio, tanto maggiormente
cresce in lei la riverenza davanti al Dio, tre volte santo. Si comprende
allora la parola di S. Agostino: "Tu puoi chiamarmi amico, io mi
riconosco servo" (36). Oppure la parola che ci è ancora più familiare,
pronunciata da colei che è stata gratificata della più alta intimità con Dio:
"Ha guardato l'umiltà della sua serva" (Lc 1, 48).
Il
Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell'Udienza concessa al
sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato la presente Lettera, decisa
nella riunione plenaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la
pubblicazione.
Roma,
dalla Sede della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 15 ottobre
1989, nella festa di Santa Teresa di Gesù.
Joseph Card. Ratzinger
Prefetto
+ Alberto Bovone
Arciv. Tit. di Cesarea di Numidia Segretario
Note
* AAS
82 (1990) 362-379.
1. Con
l'espressione "metodi orientali" si intendono metodi ispirati
all'Induismo e al Buddismo, come lo "Zen" o la "Meditazione
trascendentale" oppure lo "Yoga". Si tratta quindi di metodi
di meditazione dell'Estremo Oriente non cristiano, che non di rado oggi vengono
adoperati anche da alcuni cristiani nella loro meditazione. Gli orientamenti
di principio e di metodo contenuti nel presente documento intendono essere un
punto di riferimento non solo in relazione a questo problema, ma anche, più
in generale, per le diverse forme di preghiera oggi praticate nelle realtà
ecclesiali, in particolar modo nelle Associazioni, Movimenti e Gruppi.
2. Sul
Libro dei Salmi nella preghiera della Chiesa, cfr. Institutio generalis de
Liturgia Horarum, nn. 100-109.
3. Cfr.
ad es. Es 15; Dt 32; 1 Sam 2; 2 Sam 22; taluni testi profetici; l Cr 16.
4.
Costit. dogm. Dei Verbum, n. 2. Questo documento offre
altre indicazioni sostanziose per una comprensione teologica e spirituale
della preghiera cristiana; si vedano, ad es., i nn. 3. 5. 8. 21.
5.
Costit. dogm. Dei Verbum, n. 25.
6.
Sulla preghiera di Gesù si veda Institutio generalis de Liturgia Horarum,
nn. 3-4.
7. Cfr.
ibid., n. 9.
8. La
pseudognosi considerava la materia come qualcosa di impuro, di degradato, che
avvolgeva l'anima in una ignoranza dalla quale la preghiera avrebbe dovuto
liberarla per innalzarla alla vera conoscenza superiore e quindi alla
purezza. Certamente non tutti ne erano capaci, ma solo gli uomini veramente
spirituali; per i semplici credenti bastavano la fede e l'osservanza dei
comandamenti di Cristo.
9. I
messaliani furono già denunciati da S. EFREM SIRO (Hymni contra Haereses
22, 4: ed. E. BECK, CSCO 169, 1957, p. 79) e in seguito, tra gli
altri, da EPIFANIO DI SALAMINA(Panarion, detto anche Adversus
Haereses: PG 41, 156-1200; PG 42, 9-832) e ANFILOCHIO,
Vescovo di Iconio (Contra Haereticos: G. FICKER, Amphilochiana
1, Leipzig 1906, 21-77).
10.
Cfr., ad es., S. GIOVANNI DELLA CROCE, Subida del Monte Carmelo, II,
cap. 7, 1l.
11. Nel
Medio Evo esistevano correnti estremistiche ai margini della Chiesa, che
vengono descritte, non senza ironia, da uno dei grandi contemplativi
cristiani, il fiammingo Jan van Ruysbroek. Egli distingue nella vita mistica
tre tipi di deviazione (Die gheestelike Brulocht 228, 12-230, 17; 230,
18-232, 22; 232, 23-236, 6) e riporta anche una critica generale riguardante
queste forme (236, 7-237, 29). Tecniche simili sono state successivamente
individuate e respinte da S. Teresa di Gesù la quale osserva acutamente che
"la stessa cura che si mette a non pensare a nulla sveglierà
l'intelletto a pensare molto" e che lasciare da parte il mistero di
Cristo nella meditazione cristiana è sempre una specie di
"tradimento" (si veda S. TERESA DI GESÙ, Vida, 12, 5 e 22,
1-5).
12.
Additando a tutta la Chiesa l'esempio e la dottrina di Santa Teresa di Gesù,
che a suo tempo dovette respingere la tentazione di certi metodi che
invitavano a prescindere dall'umanità di Cristo a vantaggio di un vago
immergersi nell'abisso della divinità, Papa Giovanni Paolo Il diceva in un'omelia dell’1 novembre 1982 che il grido di
Teresa di Gesù in favore di una preghiera tutta centrata in Cristo "è
valido anche ai nostri giorni contro alcuni metodi di orazione che non si
ispirano al Vangelo e che in pratica tendono a prescindere da Cristo, a
vantaggio di un vuoto mentale che nel cristianesimo non ha senso. Ogni metodo
di orazione è valido in quanto si ispira a Cristo e conduce a Cristo, la Via,
la Verità e la Vita (Gv 14, 6)". Si veda: Homilia Abulae habita in
honorem Sanctae Teresiae: AAS 75 (1983) 256-257.
13. Si
veda ad esempio La nube della non-conoscenza, opera spirituale di un
anonimo scrittore inglese del sec. XIV.
14. Il
concetto di "nirvana" viene inteso nei testi religiosi del buddismo
come uno stato di quiete che consiste nell'estinzione di ogni realtà concreta
in quanto transitoria, e quindi deludente e dolorosa.
15. Il
maestro Eckhart parla d’una immersione "nell'abisso indeterminato della
divinità", che è "una tenebra nella quale la luce della Trinità non
è mai rifulsa". Cfr. Sermo "Ave gratia plena", in fine
(J. QUINT, Deutsche Predigten und Traktate, Hanser 1955, 261).
16.
Cfr. Costit. past. Gaudium et spes, n. 19, 1: "La
ragione più alta della dignità dell'uomo consiste nella sua vocazione alla
comunione con Dio. Fin dal suo nascere l'uomo è invitato al dialogo con Dio:
non esiste, infatti, se non perché creato per amore da Dio, da Lui sempre per
amore è conservato, né vive pienamente secondo verità se non Lo riconosce
liberamente e se non si affida al suo Creatore".
17.
Come scrive S. Tommaso a proposito dell'eucaristia: "... proprius
effectus huius sacramenti est conversio hominis in Christum, ut dicat cum
Apostolo: Vivo ego, iam non ego; vivit vero in me Christus (Gal 2, 20)"
(In IV Sent., d. 12, q. 2,
a. 1).
18.
Dich. Nostra aetate, n. 2.
19. S.
IGNAZIO DI LOYOLA, Ejercicios espirituales, n. 23 e passim.
20.
Cfr. Col 3, 5; Rm 6, 11ss; Gal 5, 24.
21. S.
AGOSTINO, Enarrationes in Psalmos XLI, 8: PL 36, 469.
22. S.
AGOSTINO, Confessiones 3, 6, 11: PL 32, 688. Cfr. De vera
Religione 39, 72: PL 34, 154.
23. Il
senso cristiano positivo dello "svuotamento" delle creature
risplende in maniera esemplare nel Poverello d'Assisi. San Francesco, proprio
perché ha rinunciato alle creature per amore del Signore, le vede tutte
riempite della sua presenza e fulgenti nella loro dignità di creature di Dio
e ne intona la segreta melodia dell'essere nel suo Cantico delle Creature (cfr.
C. ESSER, Opuscola Sancti Patris Francisci Assisiensis, Ed. Ad Claras
Aquas, Grottaferrata - Roma 1978, pp. 83-86). Nello stesso senso scrive nella
"Lettera a tutti i fedeli": "Ogni creatura che è in cielo e in
terra e nel mare e nella profondità degli abissi (Ap 5, 13) renda a Dio lode,
gloria e onore e benedizione, poiché egli è la nostra vita e la nostra forza.
Egli che solo è buono (Lc 18, 19), che solo è altissimo, che solo è
onnipotente e ammirabile, glorioso e santo, degno di lode e benedetto per gli
infiniti secoli dei secoli. Amen" (Opuscola…, p. 124).
San
Bonaventura fa notare come in ciascuna creatura Francesco percepiva il
richiamo di Dio ed effondeva la sua anima nel grande inno della riconoscenza
e della lode (cfr. Legenda S. Francisci, cap. 9, n. 1, in Opera omnia,
ed. Quaracchi 1898, vol. VIII, p. 530).
24. Si
vedano, ad esempio, S. GIUSTINO, Apologia I, 61, 12-13: PG 6,
420-421; CLEMENTE ALESSANDRINO, Paedagogus I, 6, 25-31: PG 8,
281-284; S. BASILIO DI CESAREA, Homiliae diversae, 13, 1: PG 31,
424-425; S. GREGORIO NAZIANZENO, Orationes, 40, 3, 1: PG 36,
361.
25.
Costit. dogm. Dei Verbum, n. 8.
26. L'eucaristia, definita
dalla Costituzione dogmatica Lumen gentium "fonte e apice di
tutta la vita cristiana" (n. 11) ci fa "partecipare realmente al
corpo del Signore" (n. 7); in essa "siamo elevati alla comunione
con Lui" (n. 7).
27.
Cfr. S. TERESA DI GESÙ, Castillo Interior IV, 1, 2.
28.
Nessun orante, senza una grazia speciale, ambirà ad una visione globale della
rivelazione di Dio quale S. Gregorio Magno riconosce in San Benedetto, oppure
a quello slancio mistico con cui S. Francesco d'Assisi contemplava Dio in
tutte le sue creature, o ad una visione ugualmente globale, come quella
donata a S. Ignazio al fiume Cardoner e della quale egli afferma che in fondo
avrebbe potuto prendere per lui il posto della Sacra Scrittura. La
"notte oscura" descritta da S. Giovanni della Croce, è parte del
suo personale carisma d'orazione: ogni membro del suo ordine non ha bisogno
di viverla nello stesso modo per arrivare a quella perfezione nella preghiera
cui è chiamato da Dio.
29. La
chiamata del cristiano a esperienze "mistiche" può includere tanto
ciò che S. Tommaso qualifica come esperienza viva di Dio attraverso i doni
dello Spirito, quanto le forme inimitabili (e quindi alle quali non si deve
aspirare) di donazione della grazia. Cfr. S. TOMMASO D'AQUINO, Summa
Theologiae, I (a)-II (ae), q. 68, a. 1 c, come pure a. 5 ad 1.
30. Si
vedano, ad esempio, gli scrittori antichi, che parlano dell'atteggiamento dell'orante
assunto dai cristiani in preghiera: TERTULLIANO, De oratione XIV: PL
1, 1170; XVII: PL 1, 1174-1176; ORIGENE, De oratione XXXI, 2: PG
11, 550-553, nonché del significato di tal gesto: BARNABA, Epistula
XII, 2-4: PG 2, 760-761; S. GIUSTINO, Dialogus 90, 4-5: PG
6, 689-692; S. IPPOLITO ROMANO, Commentarium in Dan. III, 24: GCS
I, 168, 8-17; ORIGIENE, Homiliae in Ex. XI, 4: PG 12, 377-378.
Sulla posizione del corpo si veda anche ORIGENE, De oratione XXXI, 3: PG
11, 553-555.
31.
Cfr. S. IGNAZIO DI LOYOLA, Ejercicios espirituales, n. 76.
32.
Come ad esempio quella degli anacoreti esicasti. L'hesychia o quiete, esterna
ed interna, viene considerata dagli anacoreti una condizione della preghiera;
nella sua forma orientale è caratterizzata da solitudine e da tecniche di
raccoglimento.
33. L'esercizio
della "preghiera di Gesù", che consiste nel ripetere una formula
densa di riferimenti biblici di invocazione e supplica (ad es. "Signore
Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me"), si adatta al ritmo respiratorio
naturale. A questo proposito si veda S. IGNAZIO DI LOYOLA, Ejercicios
espirituales, n. 258.
34.
Cfr. 1 Ts 5, 17. Si veda d'altra parte 2 Ts 3, 8-12. Da questi ed altri testi
sorge la problematica: Come conciliare l'obbligo della preghiera continua con
quello del lavoro? Si vedano, tra altri, S. AGOSTINO, Epistula 130,
20: PL 33, 501-502, e S. GIOVANNI CASSIANO, De institutis
coenobiorum III, 1-3: SC 109, 92-93. Si legga anche la
"Dimostrazione sulla preghiera" di Afraate, il primo padre della
Chiesa siriaca, e in particolare i numeri 14-15 dedicati alle cosiddette
"opere della preghiera" (cfr. J. PARISOT, Afraatis Sapientis
Persae Demonstrationes IV: PS 1, 170-174).
35.
Cfr. S. TERESA DI GESÙ, Castillo Interior VII, 4, 6.
36. S.
AGOSTINO, Enarrationes in Psalmos CXLII, 6: PL 37, 1849. Si
veda anche: Tract. in Ioh. IV, 9: PL 35, 1410: "Quando
autem nec ad hoc dignum se dicit, vere plenus Spiritu Sancto erat, qui sic
servus Dominum agnovit, et ex servo amicus fieri meruit".
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