Quando Dio decise di aprire un ufficio
reclami, molti commentarono: «Era ora!».
La struttura avrebbe avuto centinaia
di sportelli e un sistema automatico di gestione delle code. Fin dall’inizio la
politica doveva essere una: rapporto personale. Niente moduli online, niente
risponditori automatici. L’utente avrebbe trovato allo sportello un bell’angelo, tutt’orecchi per ascoltare il suo problema e cercare una
soluzione.
Le candidature di angeli per il
servizio agli sportelli arrivarono numerose. Furono fatte delle selezioni e i
prescelti dovettero partecipare a un corso di formazione. «Attenzione
personalizzata all'utente, affabilità, concretezza... ma soprattutto:
ascolto!», spiegava in tono dinamico e motivante l’istruttore del corso, mentre
centinaia di angeli prendevano appunti. Le domande erano tante: «Daremo
qualche forma di risarcimento?». «Avremo una pausa tra un utente e
l’altro?». «Sono previsti dei buttafuori?».
Il sistema era organizzato con cura.
All’ingresso si riceveva un biglietto rosso con un numero e un angelo al
microfono avrebbe chiamato gli utenti, assegnandoli di volta in volta a uno
sportello. Gli sportelli avevano un design accogliente. Un grande oblò nel
vetro per dialogare, una poltrona ergonomica per l’angelo, un distribuitore
gratuito di kleenex per eventuali lacrime. Ogni sportello era dotato anche di
un pulsante rosso, da premere solo nei casi più complessi. Diceva: “per
parlare con il Principale”.
Quando il giorno previsto si spalancarono per la prima volta i cancelli, una fiumana di gente riversò sugli sportelli la marea caotica dell’umana insoddisfazione. C’era di tutto. Molti sporgevano un reclamo per il proprio corpo, perché erano troppo bassi, troppo grassi o con le orecchie a sventola. Un uomo di mezz’età protestava con disappunto: «Che capelli mi avete fatto? Mi sono caduti quasi tutti!». Un bambino piangeva perché un calabrone l’aveva punto. Un padre sventolava la lettera di licenziamento, un altro l’estratto conto della banca. Una ragazzina tendeva in lacrime l’atto di divorzio dei suoi genitori.
L’angelo dello sportello 393 il
pulsante rosso non l’aveva ancora utilizzato. In quei primi giorni di lavoro le
cose non gli erano andate male. La gente andava via dal suo sportello quasi sempre
soddisfatta, con una prospettiva nuova sulla propria situazione, una certa
motivazione per trasformare i problemi in opportunità e il ricordo di un
affettuoso sguardo angelico.
Gli ultimi casi di quel pomeriggio li
aveva risolti con facilità: soprattutto la giovane moglie che aveva bruciato
l’arrosto e l’adolescente escluso dalla squadra di basket. Poi aveva visto
arrivare allo sportello una signora di mezz’età dall’aria decisa e aveva capito
subito che sarebbe stato un osso duro.
La signora si chiamava Ada e si
trattava di suo marito. Lo chiamava «il mio Osvaldo», snocciolando una dietro
l’altra le cause di insoddisfazione di trentacinque anni di matrimonio.
«Trentacinque!», ripeteva continuamente, come per sincerarsi che l’angelo
avesse capito bene il numero. Aveva dei fogli di appunti dai quali leggeva uno
per uno gli episodi sui quali intendeva sporgere reclamo: erano centinaia.
L’angelo aveva dato una sbirciata ai fogli, capendo che ci sarebbero volute
ore. Il problema di Osvaldo era la sua indifferenza, il suo caratteraccio, la
sua testardaggine nel rispondere sempre allo stesso modo ai tentativi di
dialogo: «Monosillabi, mi capisce? Solo monosillabi, quando una vorrebbe un po’
di attenzione e magari collaborazione». E continuavano gli episodi, minuziosamente
descritti, che rivelavano come Osvaldo fosse troppo lento quando doveva essere
rapido e troppo veloce quando avrebbe dovuto fermarsi.
L’angelo aveva provato un paio di
volte a inserirsi nel flusso di parole: «Ha provato a considerare i problemi
come opportu…». «Trentacinque anni e dico trentacinque!» l’aveva
interrotto incurante la signora, «e non creda che abbia finito, eh? Ho appena
iniziato». Con un sospiro di rassegnazione l’angelo aveva continuato ad
ascoltare, anche se un paio di volte gli era caduto l’occhio sul pulsante
rosso.
Quando la misura fu colma, decise di
tentare un bluff. Mise l’espressione più seria che gli riusciva e
azzardò: «Vuole attivare il protocollo di sostituzione del marito?». La
signora Ada si irrigidì e rimase per un istante in silenzio. Per un attimo
l’angelo temette di averla combinata grossa. Il protocollo naturalmente non
esisteva e questa sua uscita gli sarebbe potuta costare molto cara. La
signora lo guardava ancora immobile, ma l’angelo capì che dentro stava succedendo
qualcosa, finché lei sbatté violentemente il pugno sul bancone e gridò: «Non
voglio che sostituiate il mio Osvaldo! Voglio parlare col Principale!».
Per un momento si fece silenzio in
tutto l’ufficio. Gli utenti agli altri sportelli si erano voltati tutti verso
la signora. Ma l’angelo tirò un sospiro di sollievo e tendendo la mano verso il
pulsante rosso disse con un sorriso: «Arrivederci…».
Tutto avvenne in meno di un secondo.
Sotto i piedi della signora Ada si aprì improvvisamente una botola che la
risucchiò. I fogli della signora volarono qua e là. Il pavimento si richiuse e
una voce chiamò il numero successivo allo sportello 393.
La signora Ada stava precipitando
nell’oscurità di un qualche misterioso canale e non riusciva a fare altro che
emettere uno strillo acutissimo. Poi in fondo al tunnel intravide una luce
calda che si avvicinava. In men che non si dica atterrò... su una balla di
fieno.
Il suo arrivo fu salutato
immediatamente da alcuni versi: un bue muggì, un asino ragliò, una pecora belò
e la signora Ada si rese conto di essere in una grotta piena di gente. Si
guardava in giro perplessa, finché prese coscienza del luogo in cui si trovava.
L’atmosfera era calma e tutti erano assiepati attorno a una mangiatoia dalla
quale veniva una grande luce.
Ada sgomitò un po’ per riuscire a
vedere meglio: Accanto alla mangiatoia c’erano il padre e la madre del bambino.
Era piccolo e bellissimo. Sebbene fosse appena nato, sembrava che ridesse. Ada
ebbe l’impressione che ridesse di lei e si sentì improvvisamente piena di pace.
Poi alzò lo sguardo e vide una persona che la lasciò a bocca aperta.
«Osvaldo! – gridò – tu qui?». Osvaldo
aveva lo stesso sguardo sorpreso. Ciascuno vide nella mano dell’altro il
biglietto rosso con il numero. «Dunque tu...?» mormorò lui dopo un
istante. Ada annuì: «E anche tu... ?». Anche Osvaldo annuì.
Marito e moglie si guardarono negli
occhi. Ad entrambi quel momento sembrò simile alla prima volta che si
erano incontrati. Non sapevano se mettersi a ridere o a piangere quella notte,
davanti allo sportello numero 1 dell’ufficio reclami di Dio.
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